Capitolo 23

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Mi sono appena svegliata, credevo che quello che è successo questa mattina fosse solo uno dei miei incubi, ma mi sbagliavo.
Entrando nel salotto vedo Neytan parlare al telefono con aria decisamente turbata. Mi rattristo sapendo che tutto questo è sicuramente per colpa mia. Rimango ferma a fissarlo senza fargli accorgere della mia presenza. Indossa ancora i pantaloni del completo di questa mattina mentre è a dorso nudo lasciando una visuale per niente male. Si vede che è teso da come si passa le mani tra i capelli stringendoli forte per poterci capire qualcosa. Quando si accorge di me il suo viso sembra rilassarsi.

«Come ti senti?»
«Ora meglio grazie.» Dico massaggiandomi il collo. Si avvicina velocemente, i nostri corpi sono a due centimetri di distanza e i suoi occhi fissano i miei, ma questa volta con una luce diversa, è come se avesse visto qualcosa di spaventoso, non riesco a decifrarlo bene. Le sue mani prendono le mie, spostandole dal mio collo dolorante.

Lo sfiora con le dita, salto dal dolore, mi guarda stranito senza dire una parola.
«Ehy piccola, cos'hai qui?»
Sto in silenzio, non so che dire.
«Tranquillo mi passerà.»
Continua a fissarmi e questo mi mette un po' d'ansia, mi allontano da quegli occhi che mi scrutano. Sono agitata perché non so proprio cosa dire.

«Desy non mentirmi, hai dei lividi lì sul collo, ti farà un male cane. Come ti sei procurata questi lividi? Ieri non ce li avevi, me ne sarei accorto, è come se qualcuno ti avesse strangolata.»
A quelle parole non faccio altro che ricominciare a tremare e ad avere paura. Fisso il vuoto come se tutto intorno a me non esistesse più, ma quando sento il corpo di Neytan stringersi al mio tutto ritorna alla norma. Non so perché mi faccia questo stano effetto, ma devo dire che quando mi stringe tra le sue braccia mi sento di nuovo viva.

So che sembra strano a dirlo ma lui per me è come una droga, forse la droga più pesante e bella che conosca. Cerco di prendere fiato e decido di raccontargli tutto anche perché lui deve sapere.

Faccio un lungo respiro prima di incominciare a parlare:
«Promettimi solo una cosa.»
Mi guarda annuendo.
«Che dopo il mio racconto tu mi guarderai nello stesso modo di come lo stai facendo adesso, e non penserai che sono una pazza. Ok?»
«Ok Desy, te lo prometto.»

«Tutto ebbe inizio quando ero molto piccola. Andammo ad abitare in Italia, Napoli per l'esattezza, nella casa di mia nonna materna. Mia madre quel periodo non aveva molta scelta perché con mio padre le cose non andavano per niente bene. Lei mi diceva che per avere una vita felice dovevamo scappare dall'America, e così facemmo. Ho pochissimi ricordi del nostro trasloco perché avevo all'incirca quattro anni. I mesi passavano e dopo poco mia nonna morì di infarto. Ricordo perfettamente quella giornata: mia madre era a pezzi e i suoi occhi non mi lasciavano un secondo.

Non venne nessuno al suo funerale ed io non capivo il perché. Ho avuto la fortuna di conoscere mia nonna, era una donna fantastica e non mi capacitavo del fatto che dopo la sua morte nessuno fosse venuto a darle un ultimo saluto. Più crescevo e più ci vedevo chiaro. Eravamo sempre sole, io e mia madre, tutti ci ignoravano, ecco perché incominciai a mettere i tasselli al loro posto. Era come un puzzle che man mano riusciva a prendere forma. Mia madre era sempre più impaurita e più io capivo cosa succedeva più la sua paura aumentava. Una sera poi, durante la cena, lei si alzò di scatto: mi prese e mi strinse forte, tanto da farmi male, ricordo tutto perfettamente. Ebbi tanta paura di quel gesto, non l'avevo mai vista così scossa e non riuscivo bene a capire cosa le fosse preso.

Cercavo di scappare, lei però mi teneva troppo stretta tra le sue braccia, mi fece paura la sua reazione. Ma poi la paura si fece più forte e riuscii a fuggire dalle sue braccia.

Dopo pochi minuti me ne pentii amaramente. Le sue urla erano così forti, la vedevo piangere e sbattere da un posto all'altro, cercai di aiutarla ma non ci riuscii. Io non facevo che piangere, ero molto giovane e non riuscivo a farli smettere, loro continuavano e continuavano. Ero davvero sfinita non, ne potevo più di vederla in quello stato, poi però dopo qualche minuto si arresero, solo quando le urla e i pianti di mia madre cessarono.

Corsi verso di lei e l'abbracciai forte, più forte che potevo e le chiesi scusa. Mi portai le ginocchia al petto cercando di sentirmi ancora tra le sue braccia.»

Neytan si alza dal divano con espressione confusa, e nel mentre si accende una sigaretta. È agitato, forse troppo; si vede da come si muove, non l'ho mai visto così.
Mi avvicino cercando di tranquillizzarlo, lui è lì che mi dà le spalle davanti alla grande vetrata della stanza. I suoi muscoli sono tesi che mi fanno quasi paura al toccarli.
«Neyt tutto bene?»
Dopo vari minuti si gira, incastrando i suoi occhi nei miei. Continua a fissarmi senza dire nulla, cercando di cogliere un'espressione dal mio viso.
«Sì Desy, va tutto bene.»
Continua a guardarmi stranito.
«Sei sicuro di star bene?»
«Sì, credo di sì, è solo che non riesco a capire una cosa. Nel tuo racconto parli di loro, anche questa mattina quando ti ho trovata su quel pavimento parlavi di loro, sussurravi che stavano lì, che LORO stavano lì. Desy, spiegami bene perché io non ti seguo! Sono confuso, molto confuso, c'ero anch'io con te in quella fottuta casa e quando io e il Signor Witter abbiamo sentito quelle urla sono corso e ho sfondato praticamente la porta di quel cazzo di bagno, e sono più che sicuro che c'eri solo tu. Tu continuavi a guardarmi ma io continuo a non capire.»

Cerco in tutti i modi di far capire meglio a Neytan quello che vivo ogni giorno, faccio lunghi respiri per trovare il modo, ma ovviamente è troppo difficile, non è come quando racconti una favola, o una fiaba dove tutti vissero felici e contenti, è complicato anche perché sono sicura che dopo il mio racconto, lui non mi guarderà più nello stesso modo, e questo oltre a rattristirmi mi fa tanta paura. Dopo tutto quello che ho passato non credo che riuscirò a perdonarmi.

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