Capitolo 27

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Eccomi tornata a scuola, sono qui. Tra i banchi di classe ad ascoltare la noiosa lezione di Geostoria. In questo momento rimpiango l'ospedale. Il professore parla, parla e parla. Io invece non ascolto, non ascolto e non ascolto. Voglio capire, a me quanto possa interessare?
È la materia che odio di più, in assoluto.

<<Signorina Morgan, ci può degnare della sua attenzione?>> Improvvisamente ogni sguardo è puntato su di me, tutti si voltano di scatto.

<<Professore, a me non piace minimamente la sua materia. Lei non si scoccia di parlare sempre di queste cose? Io mi stancherei di me stessa>>

<<Come si permette! Esca immediatamente dalla mia classe>>

<<Con piacere, la ringrazio>> Dico sporgendogli uno dei sorrisi più falsi che abbia mai fatto.

Esco dall'aula e inizio a gironzolare per i corridoi.

In questa settimana dovremo restare a scuola fino a tardi per seguire vari corsi amministrati dagli alunni più grandi, frequentanti il 4 e il 5 anno. Quindi, un'ora senza fare la lezione di Geostoria è veramente  una fortuna. Penso che abbandonerò il corso. Preferisco iscrivermi a quello di Filosofia, anche se dovrebbe essere accessibile solo dal 3 anno.

Per i corridoi della scuola, più volte ho individuato la scritta "PISCINA". Sono rimasta lì a fissare quella scritta. Inconsciamente tutti i ricordi mi sono passati rapidamente per la mente, ci sono voluti pochi secondi per rattristarmi. Ricordare quella serata mi fa un certo effetto. I brividi hanno pervaso il mio fondoschiena facendomi inarcare. Quella sera è stata l'inizio di continue sventure.

Sbatto le mani contro la porta ripetutamente, cercando di liberare la mia ira. Mi sento così fragile. Questa scena mi ricorda venerdì pomeriggio. Le mie deboli mani sbattere contro il corpo di David sottostante. Da allora non abbiamo più parlato. Sabato sera verso l'una mi ha inviato un messaggio. Io non ho risposto, lui ha continuato a farlo, senza avere risultati di nessun genere. È quasi passata una settimana. In questi giorni, a scuola, mi è capitato di vederlo due o tre volte... L'ho completamente ignorato. Ho fatto una scelta. La manterrò.
Certo.

Mi allontano dalla porta sentendo dei rumori e accorgendomi dell'ora inizio a correre. Se non mi sbrigo farò tardi alla lezione di matematica.

Sento la porta sbattere e mi volto di scatto continuando a correre. Riesco a scorgere dei capelli castani, solo allora mi rendo conto di chi sia. Penso mi abbia vista.

*****
Bellissimo questo cibo!
Scherzo, è ripulente!
È la prima volta che mangio nella mensa della scuola. Se potessi tornare indietro non metterei piede qui dentro. Il cibo è davvero pessimo.
Che cosa dovrebbe essere questo cibo? Cane alla brace?
Penso che questo sia cibo illegale. Ma come fanno tutte queste persone a nutrirsi di questa roba?

<<Allora? Ti piace il cibo della signora Rostin?>> Mi chiede Logan prendendo posto a sedere al mio tavolo, che naturalmente è vuoto.

Logan!

<<Diciamo che preferirei utilizzare questo "cibo" per avvelenare David>> Dico mimando le virgolette.

<<Hai litigato con me per lui, e ora mi vieni a dire che le cose tra di voi non vanno bene? Che ha fatto?>>

<<Logan, sbaglia sempre! Io sono stanca di perdonarlo!>> Dico attaccandolo con il mio tono, quasi per mangiarlo.

<<Tranquilla, non ho detto niente. Adesso capisco perché sei sola>> Mi risponde lui accennando un sorriso.

Che cazzo si ride? Ora gli spacco la faccia! Come si permette?!

<<Posso darti un consiglio? Alza il culo dalla sedia e allontanati da me. Non dire manco una parola. Ti giuro che mi incazzo di brutto. Ti do 10 secondi! Vattene!>>

<<Stavo scherzando Katie, stai calma!>>

<<Ti ho detto che devi andartene>>

Rabbia, rabbia e solo rabbia.

Si alza afferrando il suo vassoio tra le mani guardandomi come per dire "esci da questo corpo". Okay, forse ho esagerato. Ha toccato un pulsante estremamente delicato. Penso che farà bene a non avvicinarsi a me. Non riuscirei a resistere.

Mi sto iniziando ad odiare per come sto diventando. Non amo la violenza. Ma adesso non riesco a fare a meno di produrne. Il mio DNA è caratterizzato da questo gene ed io non posso farci niente. Sono vissuta tra due mondi: violenza e paura. Mi ricordo che da piccola ogni volta che sentivo il citofono suonare mi affrettavo a correre nella mia stanza per potermi chiuderci dentro. Ero terrorizzata, non riuscivo a vivere in quel modo, mi sono sempre sentita soffocata. Ero incompresa, la matta della situazione, quella che sbagliava sempre. Non ho mai avuto voce in capitolo, sono cresciuta nell'ombra, priva di diritti. Quelle poche volte che aprivo bocca, venivo ignorata totalmente, quasi come se non esistessi. Mio padre penso che mi abbia rovinato la vita, mi ha fatto vivere nella paura e ha fatto sì che diventassi scontrosa, solitaria e priva di vitalità; esattamente come sono. Ogni mio lato negativo l'ho ereditato da lui, è difficile crescere in una famiglia del genere senza acquisire qualcosa, cambiando il proprio carattere. È difficile rimanerne intatti. Io non ci sono riuscita. All'età di soli 8 anni è davvero brutto essere protagonista di violenza. Al suo tatto tremavo inevitabilmente. Restavo ferma a fissare il pavimento mentre lui sbatteva le sue mani e i suoi piedi contro il mio corpo. Ero da buttare. Quasi come se non fossi degna di essere una persona. Per aver fatto cosa? Niente. Ogni misera situazione era per lui un'occasione per sprigionare violenza. Era ormai troppo bravo a farlo. Una volta iniziato non riusciva più a smettere. Fino a qualche anno fa continuava a farlo.
"Devi stare con la schiena dritta a tavola"
"Devi fare colazione"
"Devi aiutare in casa"
In pratica, dovevo fare tutto tranne che vivere. La lista delle cose da evitare era veramente troppo lunga. Non c'era giorno in cui non metteva le mani addosso ad uno dei suoi figli. Io non riuscivo a seguire ogni regola. Ero solo una bambina, avevo voglio di giocare. Di essere libera, ma non poteva essere così. Non per me e i miei fratelli almeno. Ci è stata spenta quella luce troppo presto. Ogni gioia ci è stata strappata via dal nostro donatore di spermatozoi. Una persona del genere non può essere definito padre. Ho cercato di andare avanti, di abbandonare quei ricordi di un'infanzia perduta, ma non riesco tutt'ora a farlo.
Mio padre iniziò a fare meno schifo di prima nel momento in cui conobbe un'altra, noi tutti ne eravamo a conoscenza, ma facevamo finta di non saperlo. Stava sempre meno a casa, e la cosa non mi dispiaceva a fatto. Più volte ho origliato mentre parlava a telefono con la sua amante. Era strano, diverso. Non più quel mostro che io e la mia famiglia avevamo conosciuto. Ero gelosa che quella donna potesse godere della parte "normale" di mio padre. Nel frattempo con mia madre continuava ad avere gli stessi rapporti. Lei era l'unica che scendeva dalle stelle. L'ingenuità l'ha sempre caratterizzata.
Quando sono venuta a sapere della rottura non dovevo reagire in quel modo. Non mi ero resa conto fino ad ora che questa rottura potrà essere un inizio per la mia vera famiglia. Una vita senza quel mostro non può che essere un miglioramento. Eppure, nonostante questo, adesso che non c'è, è quasi come se si fosse portato con se un pezzo di me. Un vuoto riesco a sentirlo. Perdere una figura genitoriale da un giorno all'altro non è una cosa da tutti.

BEYOND- #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora