Capitolo 40

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«Come mai non sei più andata alla festa con David? Lui ne era così entusiasta» esclama mamma risvegliandomi dal mio momento di flashback con un minimo di tono di rimprovero.

«Aveva detto che non ci sarebbe più andato» mento, sperando che la conversazione finisca lì. Non mi va proprio di parlare con mia madre di lui, ho paura che la conversazione si sbilanci un po' oltre e che inizi a fare due più due.

«Capito- si limita a dire alzandosi dal mio letto su cui si era appoggiata per un nano minuto- ti aspetto giù, tra un po' si mangia» dichiara per poi uscire dalla stanza afferrando con una mano i vestiti sporchi che avevo riposto in una busta.

Mi affretto ad alzarmi dal letto, ho una fame da lupi, cosa che non succede poi molto frequentemente. Ultimamente più del previsto, sarà che sono incinta?

Solo un figlio ti manca.

Stavo scherzando, ti ricordo che ho quattordici anni, non mi abbasso a certi livelli e poi sai benissimo che non riesco a familiarizzare con i bambini, non so nemmeno se ne avrò mai un paio.

Quando afferro il cellulare dal comodino esso inizia a vibrare a causa di alcuni messaggi a me appena giunti.

Messaggio da Logan Quark:

«Oggi parliamo?».

Mi ha preso sulla lettera quando gli ho detto che oggi avremmo parlato? Ma di che problema soffre? Era ovvio che non dicevo sul serio.

No che non lo è.

Messaggio a Logan Quark:

«Devo studiare».

Non sto mentendo, ho veramente da studiare, non posso sempre rimandare, ho delle scadenze.

Messaggio da Logan Quark:

«Ti aiuto. Vengo da te per le quattro».

Qualcuno lo ha invitato? Che razza di malato mentale si autoinvita a casa di una persona con la quale ha litigato? Non gli  rispondo e mi metto in marcia raggiungendo la cucina.

«Giovedì torno a Chicago» dice Jessie a tavola irrompendo il silenzio presente in stanza in quanto ogni componente è intento a sgranocchiare il cibo presente nei rispettivi piatti.

«Mamma, riesci a pagare le sue tasse? » le domanda il mio fratellone, cercando di fare l'uomo di casa, preoccupato per la nostra situazione economica.

«Dallas mi sta dando una mano».

«Stai facendo pagare a lui?» la richiamo io.

«No, cioè sì. Ma è solo momentaneamente. Comunque dovete iniziare a disfare le vostre cose. Dobbiamo trasferisci in settimana, abbiamo bisogno di vendere questa casa al più presto».

«Io mi rifiuto, sono cresciuta qui. Non voglio trasferirmi. Come raggiungerei la scuola se non so neanche guidare?» esclamo iniziando ad agitarmi. Questa casa racchiude tantissimo ricordi legati alla mia infanzia e nonostante non tutti belli, non voglio lasciare questo posto. Denominare un luogo "casa" non è così semplice come si pensa, la casa di ognuno di noi può essere anche una panchina, può essere ovunque ci si trovi a proprio agio. Dopo svariati sforzi, sono riuscita a sentirmi a casa qui, tra queste mura, e ora non voglio andarmene.

BEYOND- #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora