NOVITA'

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PROLOGO: ABSENCE

«Dove ti sei cacciata?», urla mio padre al telefono. Penso di aver appena perso il senso uditivo dell'orecchio destro.

«Riuscirò ad arrivare in tempo per salutarvi, tranquillo vecchio», tra la bellezza di mezz'ora i miei partiranno e finalmente avrò un po' di pace, niente più coprifuoco, niente più regole, niente più niente.

«Ethel, non chiamarmi così!», ed ecco il mio solito papà pronto con le sue ramanzine, mi diverto a chiamarlo con questo nomignolo quando arrabbiato, di solito riesco sempre a strappargli un sorriso, invece ora sembra solo più infastidito.

«Okay, papà calmo. Greg mi sta portando in aeroporto, il tempo di arrivare e sto là», inizia a farfugliare qualche sciocchezza e non gli dò il tempo di finire una frase che attacco.

Mi guardo in torno, dove è finito Greg?

«Greg!», urlo nel parcheggio del bowling. Fino a pochi minuti fa era dietro di me, inizio a preoccuparmi. Che gli alieni lo abbiano rapito?

Chi è Greg? Un fratello, un amico, un padre, una madre. Lui è tutto quello che io voglia. È un ragazzo diverso da tutti gli altri, un esemplare unico. Non c'è nessuno capace di sostituirlo e mai potrà esserci.

Delle luci infastidiscono i miei occhi illuminando il buio di questa giornata ormai quasi giunta alla sua conclusione. Avvicino una mano ai miei occhi cercando di focalizzare con attenzione quello che ho davanti. È una macchina?

«Ethel!», riesco a riconoscere la voce di Greg. Quando finalmente quelle fastidiosi luci si spengono riesco a vedere con chiarezza il mio amico intento a scendere dall'auto. I suoi capelli castani sono perfettamente accentuati dal contrasto con la sua pelle bianca latte, per poi mischiarsi ai suoi occhi scuri. La camicia a righe verdi e blu ha i primi due bottoni sbottonati, permettendo la veduta di qualche pelo superfluo del suo petto.

Mi avvicino a lui traballando sui miei tacchi, penso che i miei piedi se potessero inizierebbero sicuramente ad urlare. Senza pensarci due volte mi calo mantenendo con una mano la gonna per evitare che si alzi e mi sfilo le scarpe. Le prendo in mano e quando mi avvicino alla macchina apro la portiera e butto le fatali scarpe con non curanza lì dentro. Greg acciglia e fa spallucce, prende lo zainetto che ho alle spalle e se lo carica.

«Adesso muoviamoci, altrimenti mio padre viene qui e ci fucila», mi avvicino e gli abbottono la camicia, lui fa una smorfia toccandosi il colletto infastidito.

«Mi hai detto che avrei dovuto accompagnarti solo dieci minuti fa, non potevo di certo volare, la macchina era abbastanza lontana», si lamenta lui ed entrambi saliamo in macchina dallo stesso lato. Scavalco la leva del freno a mano e raggiungo il mio posto.

«Mi spieghi che bisogno c'era? Non potevi salire dal tuo lato?».

«Dai, rilassati. È più divertente», mi avvicino alla radio e imposto una stazione a caso, per poi iniziare a cantare. Greg mi sgrida per il volume della musica troppo alta ma io lo ignoro ovviamente. Amo farlo innervosire.

Mancano solo dieci minuti e l'aereo per Madrid varcherà la pista di volo ed io sono ancora qui per le strade di Los Angeles tra il solito traffico di città aspettando un miracolo. Los Angeles è una città attiva in qualcunque ora della giornata, tutti sono in movimento, è veramente fantastico svegliarsi la mattina, uscire e trovare sempre qualcosa da fare, non ci si annoia mai.

Greg sembra più agitato di quanto non lo sia io, infatti sta bussando ad ogni macchina che si trova davanti senza un vero motivo.

«Non fa niente se non arriviamo, staranno via solo una settimana», cerco di tranquillizzarlo senza ottenere veri risultati, si volta semplicemente volgendomi un sorriso, ma lo conosco troppo bene per intuire la sua preoccupazione.

BEYOND- #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora