trente-cinq.

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Avere a che fare con qualcosa del genere non era facile. Mi mancava desiderare il cibo, mi mancavano i miei strani sbalzi d'umore e, soprattutto, mi mancava Ashton. Da quando avevamo avuto la notizia lavorava fino all'esaurimento. Non c'era tempo per noi, era il suo modo di evitarmi e superare la cosa da solo.

Anche se aveva tenuto a bada mia madre e le sue pressioni sul matrimonio. Oltre a questo eravamo pedine, serie e lucide. Il mio cuore era spezzato e così era anche il suo, ma io avevo bisogno di lui.

"Come stai?" Chiese Kale, camminando accanto a me mentre io cercavo di fare del mio meglio per contenermi in pubblico.

I giornali ci avevano assalito da quando avevano visto Ashton senza maglietta in ospedale. La sicurezza non li avevano fatti entrare, ma erano riusciti a scorgere lui più disperato che mai.

"Orribilmente." Sussurrai. "Ashton e io neanche ci parliamo e fa male."

Kale unì le labbra e fece un respiro profondo. "Magari lui ha bisogno di te, ma è troppo spaventato per chiedertelo adesso ce sei spezzata come lui."

"Sono spaventata di andare da lui e dover affrontare il fatto che il mio corpo abbia pensato di avere solo il ciclo. Capisci quando sia stato terribile scoprire che Ashton abbia dovuto svegliarmi?" Feci una pausa e presi un respiro profondo. "Non ho sentito niente. Non ho sentito niente durante il sonno o neanche il fatto che mio figlio è morto dentro di me. Qualcosa è letteralmente morto dentro di me e non posso accettarlo."

Il respiro mi si fermò in gola per la verità. Il mio corpo tremò mentre scoppiavo a piangere. Kale si affrettò verso di me e mi abbracciò, stringendomi forte mentre mi baciava gentilmente la testa.

"Oh, Lex." Sussurrò Kale, io lo stringevo forte. Era orribile, ero spaventata ed era difficile sapere che non era Ashton quello che mi stava stringendo. "Andiamo, quegli stupidi paparazzi stanno venendo qui."

Annuì e mi asciugai il viso, affrettandomi a seguire Kale mentre chiamava un taxi. Il viaggio fu veloce. Kale venne lasciato a lavoro e io a casa. L'appartamento era silenzioso e io ero sola.

Almeno pensavo di esserlo.

Lui era seduto sul divano, un bicchiere di scotch in mano e gli occhi incastrati nei miei. Sapevo che aveva notato le mie lacrime, le borse scure sotto i miei occhi e l'aura di tristezza che si irradiava da me. Sapeva come mi sentivo senza bisogno di chiederlo.

"Hai avuto una buona giornata?" Volevo ridere per la sua domanda.

Invece scrollai le spalle. "Penso." Sussurrai. "Tu?"

"Terribile." Lo guardai mentre si alzava e finiva l'ultimo sorso di scotch. "Posso mostrarti una cosa?"

"Non hai avuto una conversazione decente con me per più di una settimana, ma adesso che hai del tempo per me non vuoi parlare." Gli dissi, rabbia dentro di me. "Capisci quanto avevo bisogno che tu fossi qui? Quando volevo girarmi a letto e piangere nel tuo abbraccio, ma tu non c'eri? Sto soffrendo anche io, Ashton."

Lacrime mi solcavano le guance, i suoi occhi mi guardavano intensamente. "Tu non capisci."

"Capire cosa? Capire che preferisci guardare mentre mi spezzo piuttosto che trovare un modo per affrontare tutto insieme." Dissi. Ashton si passò una mano sul viso e fece un profondo respiro.

"Lui era la mia ultima possibilità." Io feci un passo indietro, spaventata dal suo tono. "Volevo qualcuno per cui poter essere presente e che potevo stringere a me e –"

"Non farmi sentire male." Lo pregai, allontanandomi da lui. "Lo sai che lo amavo tanto quanto te."

"Ho questa rabbia dentro di me ed è solo lì." Disse Ashton, il suo labbro inferiore tremò. "Volevo far finta che stessi bene, ma non è così."

Mr. Irwin } a.f.i traduzione italianaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora