14 (Bree: Remembering lightning)

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Ho composto il numero senza neanche sapere cosa dire esattamente. E se neanche si ricordasse di me? Il telefono sta squillando, ma ancora nessuno risponde. Stacco la chiamata e mi butto sul divano. Non ho il tempo di rilassarmi che il telefono, ancora nella mia mano, inizia a vibrare. Una chiamata da un numero che non è in rubrica. Probabilmente è Steve che mi richiama. 

- Pronto. - Rispondo sorridendo. 

- Pronto. Chi parla? - E' la voce di una donna. Resto perplessa.

- No, scusi. E' lei a dovermi dire chi è. Lei ha chiamato. -

- Ma tu hai chiamato per prima. - 

- Quando? -

- Poco fa. - Quindi non mi ero sbagliata. Questo è il numero di Steve. 

- Guardi devo aver sbagliato numero, allora. -

- O forse no. Chi cercavi? Steve per caso? -

- In realtà, sì. -

- Immaginavo troietta. - Troietta? Mi ha appena dato della troietta? - Mi basta questo. Non mi interessa perchè lo cercavi, ma qualsiasi sia il motivo puoi benissimo cancellarlo dalla lista delle persone che conosci. - 

- Senti, gioia mia. - Odio essere chiamata così e odio usare questo appellativo, soprattutto in tono provocatorio. Ma lei mi ha appena dato della troia! - Per prima cosa rilassati. E per seconda vattene a fanculo. -

Termino la chiamata così, finemente. 

Ho bisogno di un po' d'aria. Esco dalla porta di casa portando con me il telefono e le chiavi per evitare di restare chiusa fuori. Mi siedo per terra con le gambe incrociate a fissare il nulla. Una ragazza, la sua ragazza? Potrebbe darsi. Che bastardo, però! Provarci in quel modo quando poi hai una ragazza a casa che ti aspetta. Quella mi ha chiamato troia. Questa proprio non riesco a farmela andare giù. 

Non ho alcun motivo per arrabbiarmi, eppure sento un fuoco dentro che inizia a crescere, i nervi iniziano ad affiorare sulla pelle. Mi sento elettrica. Ho bisogno di uscire. Chiamo Gigì. Stasera non può uscire. Riunione di famiglia. Chiamo Debby. Stasera esce da sola con Giovanni. Non mi va di fare la candela a quei piccioncini. Chiamo Cristina. L'idea di restare da sola con lei non mi va ancora tanto, non so se riuscirei a non sentirmi in imbarazzo. Anche lei è impegnata, purtroppo o per fortuna. Deve studiare. Con quest'ultima chiamata le mie speranze di poter andare ad affogare i nervi in un paio cocktail è sfumata. 

Qualcosa mi tocca la gamba facendomi trasalire. 

- E tu chi sei? - Un bellissimo gatto ha deciso di venirmi a fare le fusa, forse sperando in qualcosa da mangiare. Non è un gattino, ma neanche un gatto adulto. Ha il pelo lungo, folto e nero come la notte che sta per arrivare. Gli occhi enormemente gialli e straordinariamente dolci mi incantano quasi. - Ma sei stupendo! - Inizio ad accarezzarlo. Inizialmente non si fida della mia mano, ma poi capisce che voglio solo coccolarlo e mi lascia fare. Prende più confidenza con me e sale sulle mie gambe acciambellandovisi. Continuo a coccolarlo. - Per oggi hai trovato una casa, cucciolotto. - Lo porto dentro con me. So che mia madre mi ucciderà al suo ritorno, ma non mi va di lasciarlo solo. E poi, se è un randagio, già domani sarà scappato via. Sono così loro, cercano amore solo quando gli serve. 

Poggio ai piedi del lavandino della cucina un piatto dove verso del latte. Ci butto dentro un po' di pane spezzettato. Accanto metto un altro piattino dove metto un po' di carne in scatola, anche se è per umani dovrebbe andar bene. Infine, metto un bel piattone colmo d'acqua. Black, nome scontato da dare a un gatto nero, ci si fionda dimostrando che la cosa gli interessa parecchio. Mi siedo sul divano e lo guardo. Lo guardo e rifletto. Sono così dolci quando vogliono ottenere qualcosa. Sanno rigirarti e convincerti che hanno bisogno di te. Sanno farti credere di volerti. Ma poi? Poi li chiami e ti risponde una ragazza che ti da della troia! 

Bree: Remembering lightningDove le storie prendono vita. Scoprilo ora