34 (Bree: Remembering lightning)

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- Ci sono qua io. - La sento ancora adesso questa frase, come se stesse pronunciando ogni singola parola in questo istante.
Il nero inizia a tingersi di chiaro, fino a tuffarmi nell'accecante luce della TAC. Sento ancora il lettino muoversi e il rumore meccanico del tubo radiogeno che ruota. Quanto tempo è passato?
- Bree, mi senti? - E' la Collins. - Puoi parlare, abbiamo terminato da un pezzo. Ci sei? -
- Sì, sì, ci sono. - Ho la bocca asciutta e uno strano sapore metallico su tutto il palato. - Avrei bisogno di bere. -
La luce si spegne e il lettino si muove verticalmente per uscire dal tubo. La Collins arriva con un bicchiere colmo d'acqua. La seguono altri due dottori in camice bianco che la sorpassano per venirmi ad aiutare. Mi siedono delicatamente, mentre la mia testa prende a girare vorticosamente. Pochi secondi e passa tutto.
- La testa gira? -
- E' già passato. -
- Tieni l'acqua. Bevila piano, però. -
Seguo il consiglio e mando giù l'acqua a piccoli sorsi.
- Avete trovato quello che cercavate? -
Mi sorride. - Stai tranquilla, Bree. Per il momento pensa a riposare. Ti portiamo nella tua stanza per l'orario di visita e poi ne riparleremo, ti va? -
Non le rispondo. Preferirei sapere tutto adesso. Soprattutto perché non mi va di vedere nessuno. Nessuno, tranne Steve. I due dottori mi aiutano a passare sulla sedia a rotelle, mentre il terzo esce dalla stanza per richiedere con l'interfono un'infermiera che mi venga a prendere.
Mentre l'aspettiamo li spento parlottare ancora, mentre guardano delle stampe che hanno fatto della riproduzione in 3D del mio cervello. Quel poco che arrivo a sentire non mi fa capire molto, sono tutti termini tecnici di cui non conosco il significato.

Mia madre è venuta a trovarmi. E' entrata piangendo e mi si è gettata al collo chiedendomi perdono. Ho fatto un po' la dura, ma poi mi sono sciolta. Questo non significa che non le abbia chiaramente detto che se prova di nuovo a nascondermi una cosa del genere può dimenticarsi di avere una figlia.
Sono venute a trovarmi anche Gigì, Cristina e Debby. Non so se loro sapessero come stavano davvero le cose, ma preferisco pensare che fossero all'oscuro quanto me. Dopo tutto erano stupite che non mi abbiano fatto uscire e le lacrime che si sono sprecate quando ne ho riassunto loro il motivo sebrano confermare la mia ipotesi. Le abbiamo scacciate ingozzandoci del budino al cioccolato che ha portato Cristina.
Steve, invece, non è arrivato. L'ho aspettato con ansia, ma non si è presentato.
Appena sono andati via tutti è arrivata la Collins. Sorrideva ma sembrava comunque molto tesa. E' entrata in silenzio ed adesso si è seduta accanto a me, sul letto.
- Va tutto bene? Come ti senti? -
- Mi sento bene. -
Ha ripreso a non parlare. Sfoglia nervosamente i fogli che ha portato con sè. Ne estrae uno e me lo porge.
- Vedi qui? Queste zone segnate con il pennarello? -
- Sì. - Sono sparse un po' dovunque, ma sempre in superficie.
- Quella è la tua alterazione traumatica. -
- Bella, eh? Se ne ha altre magari le porto a un'agenzia e la faccio scritturare per qualche programma. -
- Almeno il sarcasmo è rimasto inalterato. -
- Non c'è proprio speranza di farlo passare, mi sa! -
- Hai avuto un ricordo mentre facevamo l'esame, vero? - Annuisco e lei diventa seria. - Quello che abbiamo visto non ci ha rassicurato. -
Credevo di essere preparata a sentirlo, invece non lo sono affatto.
- La situazione non è estremamente grave, ma riteniamo opportuno intervenire comunque. -
- Intervenire? Come? Perchè? Quando? - Le domande si accalcano sulle mie labbra veloci come è diventato il battito del mio cuore e affannose come è diventato il mio respiro.
- Ti ho già detto che il problema non è l'alterazione in sè. -
- Ma il suo evolversi. - L'interrompo. - Me l'aveva già detto, sì. - Aggiungo in tono quasi di scusa.
- L'evoluzione di quest'alterazione è strettamente legata a dei lievi cumuli di sangue che si sono formati nella tua scatola cranica e che premono contro la corteccia celebrale su cui questa si è formata. La corteccia celebrale è la sede delle funzioni elevate del cervello, per così dire. Il pensiero e la coscienza. Crediamo sia per questo che ha intaccato i ricordi, perchè mentre ricordavi... - Si è ammutolita. Cerca le parole giuste, forse.
- Mentre ricordavo, cosa? -
- E' sembrato strano anche a noi quindi suppongo che per te lo sia ancora di più, ma l'alterazione si muoveva. Quasi fosse viva. -
- Cosa? -
- Si, appena hai iniziato a ricordare lei si è ritratta. E' quasi scomparsa. Appena è finito tutto, si è riestesa. -
- Ma se torna sempre al suo posto che problemi può dare. -
- Non è questo il problema Bree. Ma, se a causa della pressione causata dal sangue, prendesse ad espandersi e ad infiltrarsi più in profondità. - Fa un respiro profondo. - Andrebbe a finire in posti dove causerebbe molti più danni. Ricordi il rischio che ti si prospetta? -
- Un tumore fulminante che mi ucciderebbe ancora prima di scoprirlo. - Un brivido di terrore mi scuote fino alla parte più interna delle ossa al solo pronunciare quelle parole nonostante il sarcasmo che ho cercato di buttarci dentro.
- E' per questo che vorremmo operare. Ovviamente serve il tuo consenso. -
- Devo darvi il permesso di aprirmi la testa? -
- Prima di firmare il consenso il chirurgo ti spiegherà in cosa consiste l'operazione e quali sono gli eventuali rischi. -
- Non mi opererà lei? -
- Io? Oh no. Non sono un neurochirurgo. - Abbasso lo sguardo. La Collins chiude le sue mani intorno alle mie. - Sarò lì con te, però. Te lo prometto. -
La guardo regalandole un piccolo sorriso, incerto e pieno di paura. - Sarei più tranquilla se ci fosse lei. -
- Domani parlerai con Benussi. E' un chirugo coi controfiocchi, Bree. Se firmerai il consenso, credo che ti opererà nello stesso pomeriggio. -
- Domani pomeriggio? - L'ansia mi assale.
- Credo di sì. Vogliamo tutti vederti uscire sana di qua il più presto possibile. - Ha messo su un sorriso che riesce a tranquillizzarmi.
Si alza dal letto ed inizia ad incamminarsi verso la porta. - Ti porteranno da mangiare. Goditi questa cena perché se domani Benussi ti opererà, non potrai mangiare per un bel po'. E, per sicurezza, non bere dopo mezzanotte. Ok? -
- Va bene. -
- Vado che c'è qualcuno che vuole vederti adesso. -
- Adesso? Ma l'orario di visita è finito. -
Apre la porta e piano fa il suo ingresso nella stanza Steve. - Se vuoi lo rispedisco a casa. -
- Assolutamente no! - Il cuore mi si è quasi illuminato. L'ansia sembra essere stata spazzata via. Il solo vederlo ha cancellato qualsiasi pensiero relativo ad alterazioni, tumori e operazioni. Esiste solo lui, per me, in questo istante.
Lui sorride anche se si nota che è teso più di una corda di violino. Resta sulla porta.
- Resta solo venti minuti, poi ti voglio fuori dal mio reparto. Capito, ragazzino? -
- Sì. - Si volta verso di lei. - Grazie mamma. -
La Collins sorride e va via, mentre lui corre ad abbracciarmi.
- Mamma? - Sono sconvolta. - E' tua madre? -
- Ssshhhh! - Mi zittisce con un bacio. - Hai sentito fin troppo tu. Devi ricordarle da sola le cose, no? - Ne stampa altri mille sulle mie labbra.
- Oddio. La mia vita sta diventando peggio di una soap opera. - Riesco a farfugliare in quei pochi attimi in cui le nostre labbra non sono incollate.
- Ma vuoi stare zitta ogni tanto e baciarmi, o no? -
Mi scappa una risata. Lo bacio, teneramente. Cerco protezione in quel bacio. Affetto, calore, forse conferme. E ci trovo tutto.
Quando ci stacchiamo, però, l'aria è d'improvviso pesante. Sembra che entrambi abbiamo silenziosamente affermato che è il momento di parlarne.
- Sei nervosa? -
- Un pochino. -
- Dimmi la verità. -
- Ho una fifa matta. -
- Piccola è normale, ma andrà tutto bene. Benussi è bravissimo. -
- Ma io ho paura comunque. - Piango. Voglio farlo da quando la Collins ha pronunciato la parola 'intervenire'.
Steve mi stringe a sé carezzandomi i capelli. - Sfogati piccola. Ti farà bene. - Mi solleva il viso e mi fa perdere nei suoi immensi occhi, che adesso sembrano aver preso di nuovo il colore del mare in tempesta. - Ti prometto che andrà tutto bene. -
- Come fai a dirmi una cosa del genere? -
- Piccola, fidati di me. -
Sì, mi fido di te. Ma non sei tu a dover aprirmi la testa e scavarci dentro. Non sei tu a decidere se andrà tutto bene o no. Continuo a fissarlo piangendo. Inizia a baciarmi le lacrime e a giurarmi che andrà tutto bene.
Ma i venti minuti a nostra disposizione sono volati troppo in fretta e l'infermiera che oggi si è presa cura di me entra nella stanza con il solito carrellino. - Che ci fa lei qui? L'orario di visita è finito da un pezzo. -
- Ho avuto un piccolo permesso extra. Vado via immediatamente. - Mi bacia la fronte ed ubbidisce subito al comando di scomparire dal reparto.
L'infermiera, sorridendo, poggia la mia cena sul vassoio accanto al letto. Mi da le medicine di sempre e mi raccomanda di nuovo di non bere dopo la mezzanotte. Poi va via.
Provo a mangiare ma ho lo stomaco chiuso dalla tensione. Prendo il cellulare e chiamo Gigì. Le dico cosa mi hanno comunicato e piango per un po' al telefono con lei. Cerchiamo di farci forza pensando ad altro, e lo facciamo. Iniziamo a parlare di quello che ho ricordato, della sera dello spettacolo e ho anche cercato di farmi raccontare qualcosa di più. Senza risultati ovviamente. Continuiamo a parlare anche mentre, di malavoglia, mando giù la cena. Chiudiamo solo quando, entrambe sfinite, sappiamo di non poter continuare per un altro secondo a restare sveglie.

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