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Un'ora dopo arrivammo a Pordenone.
Quella città non era affatto grande quanto Napoli, ma certamente era più grande di Pozzuoli.
- Seguimi. - mi ordinò fredda la donna, scendendo dalla moto, insieme a me, e nascondendola.
Annuii semplicemente, mettendomi dietro di lei e seguendola furtivamente. Non dovevamo farci scoprire dalla gente.
Ella mi guidò tra vicoli e passaggi scuri e tortuosi. L'asfalto aveva delle crepe e dei piccoli buchi in cui era facile inciampare, ma li scanzavamo senza difficoltà.
Il Sole era appena visibile a causa dei nuvoloni che coprirono e oscurarono tutto il paese. Erano cariche di pioggia e alcune scagliavano già i primi lampi, sentendo poi il rombo di tuoni in lontananza.
Ma al Clown non importava dell'acqua che era iniziata a scendere chiassosa sulla terra. Avanzava con la maschera in volto e coi panni zuppi d'acqua e lerci.
Soltanto a me dava fastidio quella pioggia che scorreva giù per i miei zigomi, entrando nelle ferite e facendomi sentire il sapore sporco dell'acqua piovana. Anche i miei vestiti si appesantirono per colpa del loro effetto spugna, ed era difficile perciò esser silenziosi.
Per nostra fortuna, l'acquazzone copriva il suono dei nostri passi e respiri e il cielo grigio e scuriva le nostre figure vaganti.
Il Clown mi tirò per il polso, facendomi fermare. La guardai e vidi che stava entrando in una casa al piano terra attraverso una finestra aperta.
Con un balzo entrò e mi fece cenno di fare lo stesso. Sospirai rassegnato e saltai, atterrando nella camera dalle pareti azzurre con la delicatezza d'un elefante.
La camera doveva esser del bambino che dormiva beato nel suo lettino dalle lenzuola bianche, con le mani sopra le coperte e con la bocca un po' aperta.
Le mura erano piene di disegni e poster, affiancati da mensole ricolme di giocattoli. Accanto al letto c'era un comodino e una scrivania dall'altro lato. Infine, accanto alla finestra c'era un armadio e delle ceste piene di giochi.
La rossa mi guardò e la sentii sghignazzare a bassissima voce.
Mi venne una fitta al petto, anzi al cuore: quella pazza voleva uccidere quel povero ragazzino.
Ella prese il coltello che avevo nella giacca e me lo diede, sussurrandomi un ordine agghiacciante nell'orecchio.
- Uccidilo. -.
Sbarrai gli occhi e presi a tremare... non potevo farlo!
Mi spinse verso il bimbo. Mi osservava con occhi diabolici e mimó con le labbra "fallo".
Scossi la testa e rimisi in tasca l'arma.
Mi guardò con odio e disprezzo, agguantando il suo martello dalla cinta e avvicinandosi minacciosa verso il piccolo addormentato.
Alzò in aria l'arma e la stava per scagliare sulla testa del bambino, ma io la bloccai. Mi ero parato davanti al povero innocente, bloccando il suo atto cruento con ambe braccia, formando una X.
Il suo sguardo era furente.
- Che pensi di fare, schiavetto?! - sibiló a denti stretti, facendo forza sui miei arti.
- Quel che è giusto... - le mormorai in risposta. Anch'io la guardavo con aria di sfida, quasi arrogante. Avrei protetto quel bambino con tutte le mie forze, mi ero giurato.
Mi gelai sul posto quando sentii un qualcosa di caldo sulla mia schiena: era una mano.

Lo Schiavo Del ClownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora