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Un raggio di sole mi strappò via dai miei sogni. Era una luce fioca, debole, tipicamente invernale; non riscaldava, ma illuminava solamente.
Mi stropicciai gli occhi, sbadigliando e cercando di ricordare cosa avevo sognato ma non vi riuscii. Stiracchiandomi, mi sistemai i capelli con una mano e mi alzai da terra, anche se i miei muscoli supplicavano di no.
Un lampo di paura mi passò per la mente: già col cuore in gola, controllai se il Clown era ancora inconsce sul divano...
Il posto era vuoto, ma era rimasta la forma del corpo della donna; toccai la stoffa di esso e capii che se n'era andata da poco, essendo ancora tiepido.
La paranoia prese a stringermi il petto, lo stomaco a duolermi e il respiro a mancare.
In fretta e furia, perlustrai l'appartamento con in mano la lama che il giorno prima ferí gravemente l'assassina. Non si sentiva neanche il ronzio di una mosca, nulla di nulla.
- M-merda... - ringhiai, ingoiando in nodo alla gola.
Un rumore improvviso mi colse di sorpresa. Stetti immobile ed in silenzio. Lo risentii nuovamente: veniva dalla fine del corridoio scuro a causa della mancanza di luce.
A passi veloci e arrabbiati, con le dita che fremevano, arrivai a quello che era il bagno e spalancai la porta senza farmi scrupoli.
Il Clown era lì, seduta sul gabinetto dal coperchio chiuso. Fissava il vuoto mentre giocava attorcigliando il filo rosso dei suoi bracciali attorno alle dita. Respirava lentamente.
Osservandola meglio, notai che si era fasciata l'addome e i palmi delle mani che probabilmente si erano tagliati nell'estrarre la lama.
Non sembrava che mi avesse notato.
Ero interdetto se richiamarla o meno.
Guardando a terra, vidi dei pezzi di garza sparpagliati qua e là e imbevuti di acqua ossigenata o qualcosa del genere.
Alzai nuovamente lo sguardo verso di lei, deciso a dirle qualcosa. I nostri sguardi si incrociarono.
Il tempo sembrò fermarsi.
L'uno osservava l'anima colpevole dell'altra.
Rimanemmo così per un tempo indefinito finché un mio sbuffo non ruppe il silenzio.
- Dovevo curarmi. - disse di punto in bianco.
- Non posso morire: ho ancora troppo da fare in questo mondo. - spiegò.
Strinsi le mandibole.
- Ovvero? - le domandai freddo.
- Ci sono troppe anime da liberare e tu lo sai bene. Perciò smettila di intralciarmi e impara il mestiere. - mi rispose priva di emozioni, apaticanente.
Il mio cuore ora batteva fortissimo dalla rabbia. Ancora si permetteva di darmi degli ordini con quella faccia tosta dopo che io l'avevo quasi ammazzata?!
- Smettila di guardarmi in quel modo, schiavetto. Non hai il diritto di arrabbiarti contro il tuo capo. - mi zittí prima che potessi aprir bocca.
La pelle mi bruciava dall'ira e sicuramente era tinta di rosso paonazzo.
- Dopo tutto quello che ti ho fatto e detto... t-tu ti azzardi ancora a considerarmi un tuo schiavo?! - esclamai iracondo.
- Ovviamente. Credevi che procurandomi qualche livido e taglietto qui e lì mi avresti dato una lezione? Pff, che stupido e ingenuo schiavetto che sei. - mi rimproveró seccata. Le sue guance e collo erano macchiati da macchie rosse e violacee.
Si alzò, mettendosi petto contro petto. Contro di me.

Lo Schiavo Del ClownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora