Finale

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Ormai sono passati due mesi da quando sono tornato a casa, a Pozzuoli. Sono stato accolto come un reduce di guerra, un eroe e come un povero ragazzo a cui hanno distrutto la vita.
È stato bellissimo rivedere il viso di mia madre illuminarsi quando mi ha visto sul lettino d'ospedale, pieno di fasce e cerotti ma vivo.
Ed è stato ancor più bello quando i miei genitori mi hanno abbracciato e io ho iniziato a piangere di gioia...
Finalmente sono tornato.
Anche se con qualche segno. Ok, magari con molti segni. Troppi.
Quando sono stato dimesso dall'ospedale, poi, mi hanno chiamato in vari programmi televisivi per raccontare questa mia surreale disavventura, ovviamente minimizzando e non andando nel dettaglio. Anche se ogni volta che ci ripenso mi vengono gli occhi lucidi, anche ora.
Sono da poco tornato a casa da un'intervista con un giornalista inglese: persino lì è arrivata la cronaca del mio "trionfale ritorno". Mio padre mi ha tenuto compagnia per tutto il tempo, incoraggiandomi a rispondere alle domande del reporter britannico.
Me ne sto sul mio bel letto, comodo e soffice... che bellezza è stata dormirci di nuovo.
Girando gli occhi, rimasti con quel velo di triste malinconia, mi soffermo sulle foto nelle cornicette rosse appese al muro, tutte con me gioioso e pieno di vita: ritornerà mai quel Dante? Ai posteri l'ardua sentenza.
Sospiro.
Il cellulare prende a squillare come impazzito e la sensazione che possa esser una chiamata d'emergenza mi attanaglia, a causa d'una paranoia che non dovrei avere.
Infatti, mi sento il cuore fernarmi in petto mentre prendo in mano lo smartphone, aprendo la chiamata da un numero sconosciuto.
- P-pronto? - domando. Le mani mi tremano com foglie.
- Signora Alessandrini? Salve, sono il direttore del carcere di Roma. - mi risponde un uomo dalla voce grave.
Ma come da Roma? E perché chiama me se vuole mia madre?
Mhm... forse mia madre lo conosce personalmente e, però, gli avrà dato il mio numero che il suo.
- Ehm ehm, perché vuol- - ma il direttore comincia a parlare senza mai prender fiato, frenandomi dal parlare.
- Quella donna che ha rapito suo figlio? Bhe... l'hanno trovata tre ore fa che stava per evadere. Per nostra fortuna l'agente incaricato di controllarla l'ha messa in una nuova cella.
Ma lei mi ha raccontato che ha giurato vendetta se sarebbe scappata...
Le consiglio vivamente di chiedere protezione. Quel mostro è capace di molto, non la sottovaluti. - spiega per filo e per segno, preoccupato per me e la mia famiglia.
Rimango senza parole. Allibito.
- Ah... l-la ringrazio. - anche se stava per dire qualcos'altro, attacco la chiamata, stufo.
Butto il cellulare sulla scrivania.
Mamma non tornerà prima di cena e mio padre è appena sceso a fare la spesa. Preferisco aspettare che ritornino per avvisarli della chiamata.
Però io non voglio la protezione della polizia. Voglio cambiare casa, città, regione... NAZIONE.
So bene di cos'è capace quella donna. L'ho provato sulla mia pelle.
Meglio bere un bicchiere d'acqua o mi sentirò male.
Apro la porta per andare in cucina, arrivo a pochi passi da essa.
...

...

...
Rabbrividisco.
Mi paralizzo.
La finestra in camera mia si è aperta.
Sento dei passi.
Qualcuno si è appena seduto sul mio letto.
Corro in camera, affannato.
- CHI VA LÀ?! - grido spaventato e arrabbiato.
Ma non c'è nessuno...
- Era nella mia testa...? - mi guardo attorno. Però la finestra è per davvero aperta. Io l'avevo lasciata chiusa.
Oh no...
Un respiro caldo e lento sento sul mio collo... delle mani mi afferrano per le spalle... delle labbra mi sfiorano l'orecchio.
- Ti ho trovato... schiavetto. -.

Lo Schiavo Del ClownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora