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Le ruote della moto continuavano a girare molto velocemente, facendoci viaggiare sulla statale a velocità elevata. Raramente sorpassavamo delle auto.
Il vento soffiava, gelandoci i nasi e facendoli colorare di un leggero rossore.
La strada portava verso Roma, ma il Clown sembrava decisa ad andare ancor più a nord, raggiungendo probabilmente Milano o Venezia.
Non portava la maschera e perciò i suoi capelli rossi sbattevano sul mio viso, coprendomi la vista.
- Dove siamo diretti? - le domandai, avvicinandomi al suo orecchio per farmi sentire.
- Non ti serve saperlo. - mi rispose fredda.
Mi zittii, stringendomi a lei perché avevo paura di cadere.
Non mi interessava più se mi mostravo debole, e neanche mi interessava rimaner indipendente: l'avevo capito che per me non c'era più scampo, che quella donna era il mio unico appiglio.
L'abbracciarla mi ridava quel briciolo di amore che mi era stato strappato via, mi faceva sentire stranamente sereno.
A lei non dava affatto fastidio, anzi sembrava piacerle. Forse anche lei aveva bisogno un po' di calore umano? Probabilmente.
- Hey, guarda che non sono tua madre che mi abbracci così. - si lamentó.
Ma non la sentii, perciò strinsi la presa: le mie braccia avvolgevano saldamente l'addome dell'assassina. Abbassai la testa, poggiandola sulla sua spalla. Avevo molto sonno e a stento mi reggevo sul sedile.
Ella tentò di scrollarmi di dosso ma non ci riuscì. Sbuffó e continuò a guidare.
Il tempo continuava ad esser nuvoloso e non si poteva capire che ore fossero. Ma il mio stomaco mi diceva che era ora di pranzo.
- Possiamo fermarci...? Ho fame... - mormorai un po' stanco.
- Stasera mangerai. - mi disse neutra.
Mugugnai qualcosa per poi starmene addosso alla donna.
Non potevo addormentarmi, quindi preferii soltanto socchiudere gli occhi ed immaginare la mia famiglia: vedevo i capelli biondi e boccolati di mia madre, gli occhi scuri di mio padre, la pelle sempre un po' abbronzata dei miei nonni... e l'immenso affetto e amore che mi davano ogni giorno.
La mia famiglia, al contrario di molte altre, era molto serena e senza problemi. Le liti capitavano molto di rado e non avevamo disagi di alcun tipo.
Mi stringeva il cuore a pensare alla disperazione dei miei familiari.
Senza che me ne accorgessi, le lacrime presero a scendere una alla volta.
Non singhiozzavo né gemevo, piangevo in silenzio. Neanche mi accorsi di stringermi così tanto al Clown che non reagiva minimamente al mio eccessivo bisogno di affetto.
Vidi di sfuggita un'insegna stradale con su scritto "Roma 5 km".
Mi ricordai di avere dei parenti lì, perciò se avessi avuto il coraggio... sarei potuto scappare e salvarmi!
Ricordavo molto bene dove vivessero i miei zii, vicino alla Basilica di San Pietro, e sapevo arrivarci senza difficoltà.
Il problema era se ci saremmo fermati lì. Ma immaginavo di sì perché sarebbe stato stupido fermarci in mezzo al nulla.
Passò un'altra ora e raggiungemmo Ciampino. Tempo fa, abitavo proprio in quella zona ma ormai a stento la ricordavo.
Si era imbrunito il cielo, sintomo che dovevano essere le 17:00.
Il Clown continuò a far correre la moto, senza mai accellerare o frenare.
Infine si fermò davanti ad un cartello stradale: "Marino".

Lo Schiavo Del ClownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora