Capitolo Zero
Tempo presente
Hazel Rodgers.
Uscendo dalla sala privata delle riunioni dei Servizi Psicologi per l'infanzia del River Valley, percorsi i corridoi ricoperti da tappeti scuri per raggiungere il mio ufficio. Mi chiusi alle spalle la porta di vetro opaco e scivolai nella sedia da ufficio troppo grande.
Dio. Ero esausta.
Sentii un colpo alla porta. Emisi un sospiro infastidita e mi alzai, aggiustandomi la gonna prima di avvicinarmi alla porta.
Valerie mi salutò con un sorriso amichevole. "Questa mattina abbiamo una ragazzina nuova che viene a trovarti, Dottoressa Rodgers."
"Oh, è l'appuntamento a nome Styles?" Annuì. "Mandala dentro" istruii, poggiandomi contro il retro della scrivania. Mi aspettavo che la mia assistente ritornasse dalla sala d'attesa ma invece fece entrare in ufficio una bambina dietro di lei.
Aveva i capelli castano miele in disordine, con una frangia che le copriva metà fronte, i restanti le cadevano sulle spalle e sulla schiena come la pittura che cola su una tela. Sorrisi di fronte al suo viso dolce, notando come ogni volta che ci provava, non riusciva a raggiungere il mio sguardo.
"Grazie, Valerie" mormorai, facendole segno di andare via.
Lanciai un ultimo sguardo alla timida bambina davanti a me. I suoi occhi erano di un verde chiaro. Erano presenti le solite cose che riuscivo a rilevare a prima vista, ma per questa ragazzina decisi di non farmi nessuna idea.
"Come ti chiami, tesoro?" chiesi dolce, mentre mi piegavo lentamente sulle ginocchia per ritrovarmi seduta sulle cosce.
"Darcy" farfugliò, giocherellando con le sue dita minute. Per la prima volta sollevò su di me le sue iridi verdi da cerbiatto prima di farle cadere di nuovo per terra. Trattenevano paura e preoccupazione. Forse persino confusione.
"Sai dirmi quanti anni hai?"
Ci fu solo un silenzio. Riconobbi il tremolio del suo labbro inferiore.
"Darcy, non devi fare nulla che tu non voglia fare" mormorai, allontanandomi dalla bambina per lasciarle uno spazio personale maggiore.
Lei annuì leggermente. Facevamo progressi. "Puoi dirmelo contando sulle dita?"
Esitò, timorosa, sollevò la mano e mostrò quattro dita. Questo era ben lontano dal normale comportamento di un bambino di quattro anni. Nascosi la mia sorpresa con un debole sorriso.
"Darcy, quando ceni, chi si siede a tavola con te?"
Rispose quasi con un sussurro. "Papà e il nonno."
"Papà è un bravo cuoco?" lei annuì solamente.
"E sai perché sei qui, tesoro?"
"La mia mamma è andata via."
Mi presi un momento per leggere la sua espressione. Era grossomodo a metà tra un broncio e un tentativo di trattenere le lacrime. Vidi i suoi occhi cominciare a farsi lucidi e cambiai argomento.
"Cosa ti prepara di buono?"
Lei mi osservò, fece un leggero singhiozzo straziante prima che una lacrima si abbattesse sulla sua piccola guancia paffuta.
"Piangere va bene, tesoro."
"Papà dice sempre che non dovrei" pianse più forte, mentre si asciugava gli occhi con cattiveria.
"Il tuo papà piange mai?"
Scosse la testa, mentre le lacrime si separavano dal suo mento e cadevano sul pavimento di legno.
"Quando piangi, il tuo corpo rilascia un ormone e ti fa sentire meglio" spiegai. "Quindi piangere è salutare, Darcy."
Lei non disse niente, troppo impegnata ad asciugarsi gli occhi. Mi allungai sulla scrivania e tirai giù la mia enorme scatola di fazzoletti. Gliene porsi uno e lei si fermò di nuovo prima di prenderne uno.
"Ricordi la tua mamma?" chiesi gentile.
Annuì "Aveva gli occhi azzurri."
"Ricordi qualcos'altro?"
"Mio nonno diceva che litigava con papà di notte." Mi si strinse il cuore e lasciai andare un respiro barcollante. In qualche modo mi sentivo connessa ai sentimenti delle persone, come se si irradiassero attraverso di me e io riuscissi a percepire l'intensità del loro dolore.
"Sai dove si trova la tua mamma adesso?"
Scosse solo la testa, mentre fissava qualcos'altro alle mie spalle. Non era morta, presunsi. Oppure li aveva abbandonati, c'era un divorzio in corso o aveva commesso un adulterio. C'erano così tanti problemi che avevo visto all'interno dei matrimoni.
"Cosa ti piace fare per divertirti, Darcy?"
Si prese un momento per rispondere. "Cantare" farfugliò, sorridendo solo debolmente.
"Oh, è meraviglioso. Sei brava?"
Annuì, mentre il suo sorriso si allargava per mostrare i denti bianchi. Delle fossette comparvero sulle sue guance paffute e io ridacchiai per quanto era bella.
"Al tuo papà deve piacere ascoltarti cantare."
"Cantiamo insieme" disse, incontrando il mio sguardo per la seconda volta.
"Ti piace colorare?"
Rifletté di nuovo, le sue espressioni mentre pensava non facevano affatto ridere.
"Qualche volta."
"E le altre volte?"
"Mi piace ballare."
"Anche a me" annuii comprensiva. "Papà sa ballare?"
Lei ridacchiò e scosse la testa con orrore. "Non sa farlo, lui non sa ballare."
Risi mentre mi spostavo verso la mia sedia. Emisi un respiro e mi stiracchiai le gambe indolenzite. "Ti dispiace se mi siedo qui?"
Teneva insieme le piccole mani sul petto. Si insinuò di nuovo quello sguardo timido come se quella crepa che avevo creato nei suoi muri si fosse chiusa da sé. Mossa sbagliata.
"Con chi giochi durante il giorno, Darcy?"
"Papà non deve andare a lavoro, quindi gioco con lui." Disoccupato anche.
"E cosa mi dici dei bambini?"
Scosse la testa due volte. "Non ce ne sono vicino casa mia."
Sospirai in silenzio, guardando la porta. "E com'è la tua casa, amore?"
Alzò le mani e le agitò in aria. "È grande, e c'è una piscina e dei divani, e c'è una TV."
Annuii, fingendomi impressionata agli occhi della bambina di quattro anni e continuai. "Qual è il tuo programma preferito in TV?"
"Sesame Street" rispose.
"Lo danno ancora? Adoravo quel programma" mormorai, sforzandomi di tentare di ricordare l'ultima volta che l'avevo visto. Lei rise piano, mentre i suoi occhi guizzarono timidamente nei miei.
"Vuoi sederti?" chiesi, indicando la sedie di fronte alla mia scrivania. Lei rifiutò e strinse le mani in modo protettivo davanti a sé.
Sentii un debole colpo alla porta. Era Valerie che segnalava la fine della seduta, me ne ricordai. Aveva detto che la prima seduta di Darcy sarebbe stata molto breve.
"Darcy, ricorda cosa ho detto prima. Non devi fare niente che non vuoi fare. Certamente non devi avere paura di me."
"Perché?" mi colse di sorpresa con questa domanda, ma avrei dovuto aspettarmelo per la sua età.
"Perché io non voglio farti del male. Io voglio aiutarti."
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Distract and sedate [Italian Translation]
FanfictionA una psicologa è stato affidato il caso di un padre alcolizzato preoccupato per sua figlia piccola e la sua anormale timidezza. La bambina di quattro anni soffre di un disturbo d'ansia sociale da quando sua madre è andata via. La specialista per l...