Capitolo trentuno.

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A quella domanda ci pensai per un po'. Qual' era la mia "guerra personale"? Ne avevo una?

«La mia guerra personale sono le ragazze!» disse Alessandro «Non riesco a trovarne una, ma vi pare!?» ridemmo tutti.

«Dai serio Alessà!» disse Lorenzo guardandoci uno ad uno.

«Io non ne ho.» disse Francesco.

«Tutti ne hanno una, Fra.» disse Emma.

«E allora qual è la tua!? Sentiamo.» disse Francesco alla ragazza.

«Non...-» la interruppi.

«La mia...» incespicai «guerra personale credo sia...» mi interruppi guardando Riccardo. «Il fatto di non riuscire a dire di "no" alle persone facilmente. Sono una ragazza che si crea problemi mentali anche per le sciocchezze, perché ogni volta che vorrei dire di "no" mi immagino sempre di stare al posto di quella persona a cui dovrei dirglielo, e io ci rimarrei male sapere che a quella persona gli risponderei in modo negativo. Non riesco a dire di "no" nemmeno a me stessa sapendo che potrei sbagliare, che potrei ferire me e roba così. Metto sempre al primo posto gli altri, e forse poi, dopo me.» dissi come raccontando una storia.

«Quando me ne andai...» iniziò Riccardo «Tu non ti sei mai messa al posto mio, hai pensato a te stessa. Non hai pensato a quanto stavo male.» continuò.

«Dove vuoi arrivare, Riccardo?» chiesi.

«Che alla fine non mi hai pensato.» disse.

«Avessi pensato a te era come pensare a me, stavo male anch'io, che ti pensi? Che sia andata in discoteca a festeggiare tutti i giorni? Credi veramente che sono stata meglio in tua assenza? Beh, ti sbagli, perché ero così triste e mi sentivo sola.» alzai la voce.

«E allora perché non mi hai più scritto?» gridò.

«Perché, tu lo hai fatto!?» mi alzai.

«Non potevo...»

«E allora nemmeno io!»

«Hey, voi due, calmi. Per favore.» ci disse Leiner alzandosi in piedi.

«Ah!» si allontanò scocciato Riccardo.

Tutti mi guardarono. Non seppi cosa successe fra noi, so solo che l'orgoglio vinse contro tutto il resto.

«E' meglio tornare a casa. Almeno io, Emma, fa ciò che vuoi.» dissi prendendo il cellulare da sopra il tavolino e salutando gli altri.

«No, aspetta, vengo anch'io.» disse Emma. Quest'ultima mentre salutava gli altri, io fissavo Riccardo. Forse speravo mi dicesse "resta" o almeno "scusa" o non lo so nemmeno io.

«Ciao ragazzi!» finì la discussione andandomene con la mia amica accanto.

«Ho voglia di non vederli per un po'.» dissi una volta allontanata.

«Ma che c'entrano gli altri?» mi chiese.

Avrei voluto urlarle che di lui m'importava così dannatamente tanto, che ogni gesto, ogni ragazzo e ogni posto, mi ricordava lui. Ma non le dissi ciò.

«Niente...» risposi.

«Va bene...» disse non sapendo che dire.

Una volta davanti casa, le parlai.

«Ah, sai, domani vado alla ricerca di un lavoro.» dissi.

«Finalmente ti sei decisa!» continuò lei.

Emma lavorava a Roma come pasticcera, alla fine, e oggi, passando insieme a Leiner, vide che in una pasticceria cercavano qualcuno che lavorasse li.

«Io domani invece non si sarò perché devo andare a lavorare, quindi vedi di muovere il culetto anche tu.» mi disse entrando finalmente in casa.

«Io continuo a chiedermi come diamine fai a non mangiare tutti quei dolcetti che ti ritrovi davanti.» dissi buttandomi sul divano.

«Me lo chiedo anch'io...» ridacchiò. «Ma poi che lavoro cercherai domani?» mi chiese.

«Non lo so, so solo che mi potrei permettere di fare la commessa in un negozio di abbigliamenti...» dissi guardando il soffitto.

«RITA.» mi chiamò. «So dove potresti lavorare!» mi disse con un sorrisetto maligno.

«Che è quel sorrisetto malefico!?» mi preoccupai.

«E se andassi a lavorare in quel centro commerciale? Dov'è sta quella ragazza di nome Dalila? Potresti conoscerla e Francesco ti potrebbe usare come scusa per andare a trovarla!» disse sognante.

«No, senti, non mi va di fare la consulente d'amore a quei due, e poi probabilmente nemmeno serve un altra commessa la.» dissi frenandole l'entusiasmo.

«Fai la prova dai!» mi incoraggiò.

«Ci proverò, ma non ti prometto niente.» dissi mentre lei batteva le mani.

«E' così che ti voglio. Non vedo l'ora che venga domani.» disse lei sedendosi.

«Chissà perché io no...» dissi.

Il giorno dopo, ci svegliammo alle sette. Ci preparammo e ci salutammo per via delle strade diverse che prendemmo alle otto.

Andai nel centro commerciale, lo stesso in cui fui stata ieri con gli altri, mi feci coraggio ed entrai nel negozietto.

«Buongiorno!» disse la ragazza, Dalila.

«Buongiorno a lei.» dissi «Per caso se avete bisogno di un'altra commessa? Io sarei disponibile, mi chiamo Rita Barone.» domandai.

La ragazza mi squadrò.

«Ho aperto da poco qui. E sono sola. Non mi farebbe male un aiuto in più.» disse pensandoci.

«Va bene.» disse «Facciamo così: oggi fa un giorno di prova, e poi domani parleremo del pagamento e il resto.» disse stringendomi la mano. «Benvenuta al bordo.» sorrise.

Sorrisi.

«Grazie.» dissi «Ci possiamo dare del "tu"?» domandai.

«Ma certo! Mi presento, sono Dalila.» mi disse «ma tu non sei la ragazza di ieri con quei ragazzi?» mi chiese guardandomi.

«Si, sono io!» esclamai.

«Oh...come si chiama quel ragazzo tatuato?» mi chiese.

Soffocai una risatina.

«Francesco Pierozzi! E' famoso, è il chitarrista dei Dear Jack.» dissi sorridendole.

«Veramente? Wow.» mi disse.

Parlammo finché non arrivò gente, e da li iniziammo a lavorare.

Suonò il cellulare.

Era Lorenzo.

Lorenzo? Cosa avrebbe voluto ancora?

Rifiutai la chiamata varie volte, finché non iniziò a chiamarmi anche Alessandro a raffica. Da li iniziai a preoccuparmi. Risposi mettendomi a disparte.

«Che c'è!? Sto lavorando!» sussurrai.

E niente, dal mio viso scivolarono solo lacrime.

Dear Jack- Ossessione.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora