Capitolo quindici.

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«Lo ammazzo.» fu la prima cosa che disse Riccardo. Era infuriato, ma allo stesso tempo era spaventato e preoccupato.

«Scusa Rick.» dissi con testa bassa.

«Per cosa?» mi chiese.

Non risposi.

«Rì, che cosa? Dimmi!» continuò, stavolta alzandomi il viso con una mano.

«Ho rovinato la serata, ti stavi divertendo e per colpa mia ora sei agitato.» dissi.

«Ma scherzi?» disse spalancando gli occhi.

«E quei graffi?!» chiese pietrificata Emma, ancora non sapeva niente.

«Niente.» dissi io.

«Torniamo nel collegio.» disse ancora Riccardo.

Lorenzo non disse una sola parola, fissava e basta.

«Va bene.» dissi.

Mi voltai sperando che Lorenzo facesse qualcosa, ma è troppo evidente il fatto che gli faccio schifo.

Alla fine, convinsi Emma a restare a divertirsi con i suoi amici, così tornammo solo io e Riccardo.

Entrai in stanza, mi cambiai e mi misi il pigiama; dopodiché arrivo lui, anch'egli in pigiama, e ci stendemmo sul letto.

«A che pensi?» chiesi.

«A quello che è successo. Mi dispiace un casino che la prima festa sia stata un fiasco.» disse deluso.

«Non importa, ho te, giusto?» chiesi.

Mi sorrise.

«Ma certo piccolina!» disse abbracciandomi.

«Sei così caldo in questa stanza fredda.» dissi.

«Oh! Sto abbracciando una poetessa!» disse ridacchiando.

«Non m'insultare scemo!» mi difesi.

«Come mi hai chiamato?!» mi disse con aria minacciosa e divertita.

«Scemo!» ripetei ridendo.

«Guarda che ti faccio il solletico eh!» minacciò ancora.

«Ah si? E io ti prendo a cuscinate!» minacciai anch'io.

Passammo un'oretta ridendo e scherzando, poi lui si addormentò, ma c'era qualcosa di strano.

Quel qualcosa di strano ero io. Nonostante il momento divertente che passai, sentii ancora un vuoto. La tristezza non volava via veloce come un lampo.

Mi alzai dal letto cercando di non svegliare Riccardo.

Le ragazze non erano ancora arrivate ed era l'una e mezza di notte.

Andai in bagno e mi sedetti a terra.

Guardai il soffitto.

Era tutto così buio e noioso.

Provai a non farlo. Giuro, c'ho provato.

Passò una mezz'ora sana quando all'improvviso si spalancò la porta del bagno.

«Lascia quella cosa!» gridò lui.

Mi guardai i polsi.

«Scusa.» riuscii a dire con un filo di voce.

«Smettila.» disse buttando quel che avevo in mano, lo buttò dalla finestra.

Mi alzai in piedi.

«Vieni, ti devo disinfettare.» mi disse.

Mentre mi medicava, lo guardavo.

«Brucia?» chiese.

«Tranquillo, sono abituata.»

«Odio le risposte di questo genere.» disse. «Ma ora dimmi: perché?»

«Riccardo, non lo so.»

«Hai bisogno di vivere!»

«Lo so.»

Passarono le ore, lui ritornò nella sua stanza, io tornai sul letto e quelle due anche rientrarono qui.

Erano le nove di mattina, avevo appena messo dei pantaloni grigi e una maglietta.

Uscii dalla stanza.

«Buongiorno Rita!» mi disse Lorenzo.

«Ciao Lorenzo.» dissi. Rimasi sorpresa.

«Come ti senti?»

«Mal di testa e solite cose. Tu?»

«Lo stesso.»

«Va bene.» dissi.

Andammo in due direzioni diverse.

Passavo davanti alla classe, anche se era domenica, quando ad un tratto notai che la porta era socchiusa e si sentiva una voce femminile e una maschile.

Ero curiosa, così spiai.

«Allora, che volevi dirmi?» gli chiese Ylenia.

«Beh, insomma, se ti andava di uscire con me stasera.» chiese Alessandro timido. Che carino!

«Davvero?!» chiese lei contenta.

«Certo, se ti va.» continuò lui.

«Ma ovvio che mi va!» disse abbracciandolo.

Quei due faranno una lunghissima strada insieme, che carini.

Ma un secondo, Emma non mi rispose alla domanda ancora!

"Appena la vedo, glie lo chiedo" continuai a ripetermi.

Camminai per il corridoio. Squillò il cellulare ed era mia madre. Risposi e parlammo un po', gli raccontai un sacco di stupidate, per esempio che stavo andando bene a scuola, che non ero innamorata e soprattutto che stavo bene.

Quando chiusi la chiamata, ne notai una persa. Era un numero privato, sarebbe stato sicuramente qualche idiota, tipo Leiner o Francesco.

Poco dopo dieci minuti richiamò e decisi i rispondere.

"Pronto?" chiesi.

Ovviamente, c'erano delle voci dietro che ridevano.

"Pierozzi, riconosco la tua risata, sei un idiota!"

"Non è giusto!" si lamentò Pierozzi dall'altra parte del telefono.

Chiusi la chiamata ridendo, era un esaurito.

«Rita, devo dirti una cosa!» mi chiamò di colpo qualcuno.

Mi girai ed era Leiner.

«Non sono Emma!» dissi ridendo.

«Sei una cogliona.» disse ridendo. «Volevo dirti che domani sarà lunedì, usciremo tutti insieme. Vieni?» mi chiese.

«Certo, ci sarà anche Riccardo, giusto? Quindi, ovvio!» dissi contenta.

«Va bene, riferisco tutto al capo.»

Risi.

«Esiste un capo di questa banda?» chiesi ridacchiando.

«Il capo è Lorenzo mentre il "vice capo" è Riccardo.» disse lui, anch'egli ridacchiando.

«Che carini.» dissi guardandolo.

Se ne stava andando, ma poi si fermò.

«Ah, Rita..»

«Eh? Dimmi.»

«Fai la brava, okay?»

«Okay, come sempre.»

Lui mugolò e se ne andò. Forse Riccardo gli aveva raccontato il fatto che era successo quella notte. Non lo so.

Passai davanti alla finestra, e vidi Lorenzo e Alex. Non sembravano felici, anzi, lei gesticolava ed era arrabbiata e lui sopportava come un cane bastonato. 


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