Capitolo trentacinque.

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Era arrivato il giorno. Il più triste di tutti. Oggi avremmo assistito al funerale di Emma.

Ero vestita di nero, ovviamente, quindi una camicia e dei pantaloni scuri.

I ragazzi erano vestiti con giacca e cravatta nere e anche i pantaloni.

Passò quella giornata lentamente e con molta tristezza. Ammetto che mi uscii qualche lacrima. Era impossibile non piangere. Anche gli altri si erano commossi.

Mi ero ritirata a casa insieme agli altri. Avevamo visi stanchi e sconvolti.

«Vado a levarmi sto completo.» disse Lorenzo provando a levarsi la cravatta.
«Fermo, così ti strozzi.» dissi senza ridere.

Mi avvicinai a lui ed eravamo lontani di pochi centimetri. Ci guardammo, e gli tolsi poi con indifferenza e delicatezza la cravatta.

«Grazie.» disse salendo su per le scale.

Francesco si era seduto sul divano. Sembrava stesse pensando.
Alessandro stava bevendo un bicchier d'acqua.
Riccardo era in piedi a braccia conserte. Guardava qualcuno alla volta senza saper che dire.
Leiner. Beh, lui sembrava uno spettro.

Poco dopo si cambiarono tutti, compreso me, tranne Leiner che era rimasto immobile li dov'era.

«Leiner, vai a cambiar...-» gli stava consigliando Riccardo.
«So io quello che devo fare, stai zitto!» gridò salendo di sopra a passi veloci e pesanti. Ci guardammo tutti mortificati.

«Se vi va di mangiare, stasera toast. E fateveli bastare.» disse Lorenzo guardando soprattutto Alessandro.
Alessandro ignorò lo sguardo minaccioso.

Mi sedetti sul divano. Non sapevamo che fare. Era imbarazzante.

«Vado da Leiner.» dissi dopo un po'.

«No, è meglio se lo lasci solo.» disse Riccardo guardando il soffitto.

«Se lo lasciamo sempre solo alla fine, cosa vuoi che superi?» domandai.

Riccardo fece un cenno con il capo come per dire "si".

Salii lentamente di sopra mentre sentivo i soliti commenti che Francesco non può mai risparmiare.

«Le donne, pensano sempre a tutto e a tutti!» roteai gli occhi e bussai piano la porta della sua stanza.

«Leiner? Hey, mi apri?» chiesi.

Non ebbi nessuna risposta.

«Guarda che se non rispondi entro.» dissi.

Era impossibile che dormiva, fino a un minuto fa si sentivano dei rumori di passi ed ecc...

«Entro eh.» lo avvisai.

Aprii la porta e in stanza non c'era nessuno. Dov'era finito?

«Cosa cerchi?» mi chiese una voce familiare da dietro.

Mi girai ed era lui con l'asciugamano in vita e aveva i capelli ancora bagnati e arruffati.

Incespicai con le parole, ero imbarazzata.

«Scusa!» alzai appena la voce. «Io non pensavo che tu stessi...-» continuai quasi balbettando dalla vergogna.

«Ma perché parli così? Sono brutto?» mostrò un sorriso triste e ironico che scomparve subito.

«Smettila...» dissi ancora abbassando la testa.

«Okay.» affermò. Si avvicinò davanti ad un cassetto dove c'era un phon.

«Di che volevi parlare? O cercavi qualcosa, non so...» disse.

«Ehm, volevo parlare con te. Però è meglio dopo, quando avrai finito con il phon.» dissi andando sul luglio della porta.

Dear Jack- Ossessione.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora