CHAPTER FIVE

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Il mattino seguente mi sveglio stranamente ancor prima del suono della sveglia. Anche con le tende tirate si vede la luce del sole entrare nella stanza, rischiarandola. Un sorriso mi anima subito il viso. Ero contenta, Wells e la cena della sera precedente mi hanno aiutata davvero a riordinare i pensieri, così mi preparo per il lavoro e prima di uscire getto un'occhiata veloce nello studio per osservare la tela ancora sul cavalletto, ed alla vista di quel ritratto non posso far altro che sorridere ancora di più.

Mi avvio alla porta, prendo la borsa, le chiavi, il telefono. Oddio il telefono! Non si accende... è completamente scarico! Ho dimenticato di metterlo in carica! Dannazione, quando arriverò in ufficio provvederò, così poi recupero il suo numero e finalmente potrò chiamarla. O forse le mando un messaggio. No, magari è meglio chiamare... sì, ma poi se non risponde? O peggio, se risponde poi cosa dico? No, no, manderò sicuramente un messaggio. E con l'agitazione di questi pensieri, salgo in macchina e vado in ospedale.

Entro in ufficio, poso la borsa e metto il camice. Mia madre mi cerca subito per un consulto, la giornata è decisamente piena, tra il giro visite, qualche consulto al pronto soccorso e due interventi programmati, non mi accorgo nemmeno che si sono fatte le 17.00.

Vedo il tuo biglietto da visita sulla scrivania, e il mio cellulare è ancora nella borsa... ancora scarico. Cerco l'alimentatore nei cassetti, ed ovviamente non lo trovo. Maledizione, quando ne ho bisogno non lo trovo mai! Le infermiere mi chiamano un'altra volta, devo abbandonare la ricerca.

Si sono fatte le 18.00 e per me è ora di staccare, ma ovviamente ancora non ho caricato il cellulare. Ho bisogno di uscire subito da qui e prendere un po' d'aria fresca. Questa volta, però, afferro il tuo biglietto da visita e solo dopo me ne vado. Vorrei davvero chiamarti, ma logicamente senza telefono non posso farlo. Avrei anche voglia di vederti, ti ho vista ieri, eppure mi sembra sia passata una vita, anche se ho paura che le cose potrebbero essere piuttosto imbarazzanti. Alla fine prendo coraggio, salgo sulla mia vecchia Buick gialla del 72 e, dopo aver puntato l'indirizzo della palestra sul navigatore, sfreccio coi capelli al vento nel traffico della città.

Dopo pochi minuti di tragitto, accosto e parcheggio davanti ad una palestra con l'insegna "Dojo Woods". Dall'esterno il palazzo sembra di inizio secolo e l'ingresso, sotto ad un portico con grosse colonne in pietra, è composto da vetrate in stile orientale che danno un tocco affascinante al tutto, mescolando due stili completamente diversi che però, in qualche modo, coesistono in perfetta armonia, rendendo la vista tutt'altro che sgradevole, anzi, quasi magnetica. Proprio come te.

<< Wow, che bambola!! >> Sento arrivare il commento accompagnato da un fischio di apprezzamento. Mi volto immediatamente con lo sguardo tra lo stupito e l'arrabbiato. Ma come si permette? << La macchina intendevo. >> Aggiunge con un sorriso la ragazza che aveva lanciato il complimento.

Scoppio a ridere come una stupida per quella sua mancanza di tatto, e scendendo dal mio mezzo la ringrazio. La mia Buick è un po' vecchiotta, ma la tengo come se fosse la cosa più preziosa del mondo, era la macchina di mio padre e quando lui morì non la lasciai vendere a mamma per nessuna ragione al mondo, dicendo che un giorno avrei voluto guidarla io. E infatti così è stato, fatta la patente è diventata l'unico mezzo di trasporto che ho avuto fino ad ora, e che vorrò sempre.

Mi accorgo che il silenzio sta diventando piuttosto imbarazzante, e guardando meglio la ragazza riesco a riconoscerla. Magra, un poco più alta di me, dal fisico nerboruto e atletico, i capelli castani chiari con dei colpi di sole biondi e lo sguardo tagliente. Se non ricordo male, credo si chiami Anya.

<< Lexa c'è? La stavo cercando. >> Dico azzardando qualche passo nella sua direzione.

<< Certo. >> Risponde cordialmente. << La trovi sul tatami in fondo alla palestra, sta finendo una lezione di ju jitsu con i ragazzi. >> Nota il mio sguardo un po' stranito e a malapena trattiene una risatina. << Vieni, ti accompagno, Clarke. >> Aggiunge per mia fortuna dopo un attimo.

You are my weaknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora