CHAPTER FOURTY-ONE

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Il caldo e l'afa dell'estate questa sera sono accompagnati da un forte vento qui a Washington, che si sta trascinando dietro dei pesanti nuvoloni scuri carichi di pioggia, rischiarati di tanto in tanto da qualche flash, accompagnato da un sordo brontolio. Spero che il minaccioso temporale alle porte, almeno, riesca a portare un po' di fresco in questa lunga notte di lavoro. Sono arrivata in ospedale per il mio turno, prima che tu rientrassi a casa dalla palestra. Dopo l'infortunio, anche se sono passati più di 3 mesi, ti stai allenando davvero molto per recuperare completamente la forma.

Stranamente Eric non è di turno con me stanotte, quindi, in caso riuscissi ad avere del tempo per riposare, potrei usufruire del divanetto che abbiamo qui in ufficio. L'orologio appeso alla parete, con il suo fastidioso ticchettio, attira la mia attenzione e mi accorgo che segna quasi le 22.00.

Toc toc. Due leggeri colpi alla porta mi distolgono dai miei pensieri.

<< Avanti. >> Dichiaro esasperata, vedendo sfumare via la tranquillità da poco guadagnata.

Un paio splendidi occhioni verdi fanno la loro comparsa dall'apertura della porta, e immediatamente il sorriso si fa gigantesco sul mio volto. Non mi aspettavo di vederti fino a domattina, quando sarei scivolata nel letto poco prima del suono della tua sveglia.

<< Lexa! >> Quasi grido con entusiasmo.

<< Ciao, piccola mia. >> Mi saluti entrando e chiudendoti la porta alle spalle, poi vieni subito verso di me per abbracciarmi. << Sono passata a farti un saluto prima di tornare a casa. >> Dici lasciandomi un bacio sulla guancia.

Ci accomodiamo sul divano, raccontandoci della nostra giornata, e ti vedo visibilmente stanca, ma nonostante tutto mi hai fatto questa meravigliosa sorpresa, venendo a trovarmi in ospedale. Dopo un po' che siamo qui accoccolate, mi accorgo che ti sei addormentata sulla mia spalla, quindi mi faccio sostituire dal cuscino e, senza svegliarti, torno alla scrivania per sistemare qualche cartella.

*****

Intanto, a pochi isolati di distanza, Raven spense il motore della sua Jeep, proprio davanti all'ingresso del dojo Woods, e corse all'interno della palestra per ripararsi dall'aria impetuosa.

Appena entrata si ritrovò davanti Octavia e Lincoln, che la guardarono con l'aria decisamente sorpresa, non aspettandosi assolutamente di incontrarla lì.

<< Ciao, ragazzi. >> Salutò la latina con indifferenza.

<< Raven. >> Disse di rimando Lincoln a mo' di saluto.

<< Ehi, Rae, che ci fai qui? >> Chiese invece incuriosita Octavia.

<< È qui per me. >> Esclamò la voce di Anya, arrivando dall'altra stanza.

Octavia, smarrita, guardò prima Raven, poi Anya e poi di nuovo la sua amica. Solo in quel momento realizzò che tra quelle due potesse esserci qualcosa di sospetto, ma decise di far finta di nulla e non chiese spiegazioni. Almeno non in quel preciso istante. Rimase comunque ad osservare la sua amica con un sorrisetto malizioso stampato in volto, come per dirle, "ti ho beccata, Raven".

Dopo poco i due si dileguarono, lasciando Raven e Anya sole. Ci volle una mezz'ora buona prima che Anya riuscisse a finire di sistemare tutto ed andare a cambiarsi, pronta per chiudere ed uscire dalla palestra in compagnia dell'altra ragazza.

Varcarono la porta assieme e la bionda, con Raven al suo fianco, si voltò per chiudere a chiave l'ingresso principale. Distratta da questo gesto abituale, Anya non fece caso all'ambiente circostante e solo Raven, assorta nel contemplare lo splendido profilo dell'altra ragazza, si accorse appena in tempo della presenza di un uomo completamente vestito in nero, che estrasse e puntò una pistola proprio verso di loro. Il boato dello sparo riecheggiò per l'intero isolato, coprendo così il tonfo dei due corpi e il sibilo del proiettile che, infame, fluttuava nell'aria fino a trovare la sua destinazione.

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