Bites

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Caleb mi si avvicinò, ma io non mi mossi: per me era impossibile che mi facesse del male. Mi afferrò per la felpa e mi sollevò, rivolgendomi uno sguardo crudo, duro. I suoi occhi erano annebbiati, vuoti, di un rosso più scuro del solito. Io rimasi a fissarlo, certa che non mi avrebbe ferita, e fu proprio questo a fregarmi: lui non era più il solito Caleb.
Mi scaraventò contro una finestra, facendomi cadere da due piani, seguita dalle urla spaventate di mia madre. Mi schiantai al suolo, sentendo un dolore lancinante alla schiena. A causa del colpo, avevo la vista annebbiata: vedevo tutto sfuocato e bianco. Riconobbi un'ombra gettarsi su di me, dalla stessa finestra da cui ero precipitata. Caleb ora mi era col fiato sul collo e i canini in vista. Mi soffiava contro, mentre io non staccavo i miei occhi dai suoi, per quanto ci riuscissi.
Non c'era alcun dolore che potesse superare quello causato dalla persona che ami. Non potevo credere che mi stesse davvero facendo del male.
«Caleb, ti prego» piansi, ma lui rimaneva impassibile. Mi soffiò contro e, prima che potessi rendermene conto, i suoi canini bucarono il mio collo.
Potei vedere un'ultima volta i suoi occhi spenti, prima che il veleno iniziasse a scorrermi nelle vene.

Era successo:
Caleb la aveva morsa,
morsa per ucciderla.
Un lampo squarciò il telo della notte e un tuono risuonò tra gli alberi che li sovrastavano.
Acacia perde coscienza, mentre la pioggia si abbatte sul suo corpo immobile, bruciandolo.
Caleb è ancora su di lei, anche lui immobile: il suo amore per lei lo ha risvegliato.
E non sa cosa fare, se non coprirla col suo corpo dalle gocce violente, ma non può proteggerla dalle lacrime che sta versando lui.
Non può proteggerla dal sè stesso.
D'un tratto sente il sul respiro sul suo viso: non è ancora morta!
Forse c'è una speranza, una speranza per salvarle la vita, per rimediare, allora lei capirà che lui la ama davvero e che non le avrebbe mai fatto del male volontariamente.
Caleb iniziò a succhiare il veleno che le aveva versato in corpo, ma non poteva sputarlo: era troppo, e il tempo troppo poco.
Lo ingoiò; bevve il suo stesso frutto del male.
Liberò il corpo di Acacia dalla morte imminente, occupando il suo, già stracolmo d'odio verso sè stesso.
Le si accasciò accanto, e mentre i suoi respiri diventavano pesanti e rari, quelli di Acacia si facevano più insistenti.
Aprì gli occhi e, lentamente, si riprese.
Le doleva il collo e la pioggia dura le bucava la pelle.
«Caleb» pensò. Si guardò attorno e, quando lo vide affannato e viola, si allarmò all'istante.
Ora anche lei piangeva.
«S-scusami per q-quello che ti ho fa...tto. Non volevo. Ti...amo» disse lui, con i polmoni ormai ostruiti dal veleno.
«Non importa, anche io ti amo, ma devo portarti via» lo informò.
Lui scosse la testa e la pregò di lasciarlo lì a morire:
«Fin dall'inizio è stata colpa mia, io ti ho rovinato la vita e ho rischiato di togliertela più volte. Lasciami qui» ansimò lui. Lei scosse la testa e abozzò un sorriso, su quel viso scavato dalle lacrime.
«Tu la hai resa migliore, Caleb, ed è ora che io mi sdebiti per ciò che hai fatto per me finora» rispose lei, sollevandolo dal suolo fangoso.
Il padre la raggiunse e li avvolse nel suo mantello per ripararli dalla pioggia, poi spiccarono il volo.
Destinazione: mondo vampiro.

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