Forget me

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«Scherzi, vero? Insomma, non è sicuro, no?» si agitò lui.
«No, Caleb» dissi io, secca.
Perché si agitava così? Insomma, neanche io sono pronta per avere un bambino, ma sono contenta comunque.
Perché lui non lo era?
E se mi avesse lasciata?
No, dovevo scacciare via questi pensieri!
Frugai nei cassetti di mia madre, trovando un tester di gravidanza ancora nuovo.
«Allora?!» si innervosì Caleb, fuori dalla porta.
Non lo avevo mai visto così acido.
«Ora guardo!» risposi, dal bagno. Presi il tester in mano e lessi l'ultima parte delle istruzioni, per capire se ero incinta.
«Sei viva?» continuò lui.
Che palle.
«È positivo, Caleb» sospirai.
Silenzio.
«Caleb?» lo chiamai, aprendo la porta. Era immobile, con i pugni serrati.
«Forse è meglio che ci prendiamo una pausa» sbottò.
Mi bloccai.
Una pausa?! Ma non era quello che mi amava? Dopo tutto quello che ha fatto per me, mi abbandona perché LUI mi ha messa incinta?
«Sei stato tu a mettermi incinta! Sei un pezzo di merda, Caleb! Credevo che mi amassi!» gridai, in lacrime.
«Io ti amo, ma non voglio un figlio a quest'età!» si alterò lui.
Non lo riconoscevo.
«Aborta» disse, d'un tratto, a sentì stretti.
«Che cosa?!» rimasi di stucco. Voleva uccidere la nostra creatura?
«Se mi vuoi, aborta» ripetè lui. Piansi più forte.
«Se la metti così, puoi anche andartene!» sussurrai.
«Bene. Divertiti col TUO marmocchio» sibilò lui, uscendo. Mi buttai a terra e piansi, più disperata che mai.
Credevo che fosse diverso.
Credevo che mi amasse.
Mi fa solo schifo, schifo!

Erano passati 3 giorni, i miei genitori e i miei amici erano al corrente del mio bambino, o bambina, e oggi, dopo tanto, sarei tornata a scuola. Mi erano stati tutti accanto, tranne Caleb, che non sentivo da giorni. Spencer, inoltre, mi aveva detto che la sua roulotte non c'era più.
Allora se ne era proprio andato. Aveva ragione, quella sera, quando gli chiesi perché vivesse lì: "è più facile scappare", e lui non aveva esitato un solo secondo. Stavo molto male per lui, ma per me e per il mio bambino, dovevo cercare di farmi forza e andare avanti.
Era difficile vivere senza lui accanto a me.
«Tesoro, muoviti o perdi l'autobus» mi ricordò mia madre. Era da quando Caleb mi aveva lasciata che ero rimasta nella mia camera e uscire, per andare a scuola, poi, era la cosa peggiore.
Durante la prima ora non feci che pensare a Caleb, a quanto fosse stronzo e a quanto lo odiassi, anche se non potevo negare che mi mancasse.
Se fosse tornato, però, non lo avrei perdonato, per quanto lo volessi; non esistevano scuse per il suo gesto, non se la sarebbe cavata con "sono stato un idiota, ti giuro che non lo volevo fare", perché, se mi amava, sarebbe rimasto e, soprattutto, non mi avrebbe chiesto di rinunciare al bambino per lui.
Non c'erano scusanti: aveva rifiutato suo figlio: parte di me, nonché di lui.
Chi ti ama resta, nonostante tutto.
Cazzo, che nervi.
«Signorina Lane! Può condividere con tutta la classe la motivazione della sua assenza mentale a questa lezione?» mi urlò la professoressa; chissà da quanto mi chiamava.
«Io...stavo ascoltando!» ribattei.
«Allora ci illustri il concetto che ho appena illustrato a tutta la classe» insistette lei. Sentii il mio vicino di banco, un ragazzo magro, dalla carnagione ambrata e i capelli biondi, suggerirmi qualcosa.
«Ha spiegato...la differenza principale tra le civiltà egizie e quelle mesopotamiche: le prime sono governate dal faraone, il quale è un vero Dio, mentre le civiltà mesopotamiche sono guidate da un comune mortale che può comunicare con gli Dei tramite riti o—» la prof mi interruppe, sconfitta:
«D'accordo, ha seguito, ma la pregherei di non guardare altrove mentre parlo, la prossima volta». Annuii.
«Grazie, come mi posso sdebitare?» sussurrai io, al mio "salvatore".
«Con un caffè a pranzo» rise lui. Gli sorrisi di rimando e, nonostante non volessi più saperne di ragazzi per un bel pò, accettai.
Chiaccherammo del più e del meno e poi, al termine della pausa, ci salutammo, scambiandoci i numeri.
«A dopo, scrivimi!» mi disse.
«Certo, Luke» lo salutai io, sospirando.
Erano simpatico e dolce, ma la mia fiducia, ora, valeva oro.

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