Hotel

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Caleb seguì le istruzioni che gli aveva fornito mio padre e raggiungemmo l'hotel in cui avremmo alloggiato. Per essere sempre in stile gotico, era davvero bello e confortevole.
Davanti all'enorme cancello marrone scuro, ci aspettava un uomo con uno smoking. L'hotel sembrava un castello: mio padre ci aveva davvero sistemati bene, mi chiedevo soltanto dove li avesse presi i soldi per pagare tutto ciò.
«Da questa parte, ah, signorina: vostro padre ha portato nella vostra stanza indumenti ed effetti personali di entrambi» ci informò l'uomo. Io gli sorrisi cordialmente e poi, con Caleb, lo seguii all'interno di quella reggia. Prendemmo un ascensore davvero elegante, che ci portò al terzo piano.
«Questa è la vostra stanza» disse, dopo che ci fummo davanti, dandoci le chiavi di essa. Lo ringraziammo ancora ed entrammo.
Era un vero appartamento! Aveva un bagno ampio, con vasca idromassaggio e doccia, una cucina con fornelli e frigo e credenze piene di bontà vampire che non vedevo l'ora di assaggiare. C'era una grande stanza con un letto matrimoniale, un televisore al plasma e vari mobili. Accanto al letto notai dei bagagli: probabilmente era la roba che aveva portato mio padre. All'entrata era incorporato anche un grazioso soggiorno, con un altro televisore, della medesima grandezza del primo. Tutte le stanze, inoltre, avevano le pareti ricoperte da un'adorabile carta da parati color panna, con delle decorazioni floreali in oro e i pavimenti erano costituiti da un parquet in legno chiaro e lucido.
Era il paradiso.
«Hey, tesoro, lo sai che hanno anche un ristorante, una piscina, un bar, una sala da gioco e tanto altro?» mi chiese Cal, eccitato, mentre leggeva un depliant del posto. Io annuii, contenta.
«Tutto bene? Come mai non parli?» si preoccupò lui, avvolgendomi con le sue forti braccia.
«Sì, è che nonostante noi ci troviamo qui a causa di una disgrazia, è tutto così meraviglioso; non saremmo mai venuti qui in circostanze normali» rivelai io, ancora incantata. Caleb mi baciò la testa.
«Se tu lo vorrai, ti porterò in decine di posti come questo, o anche migliori» mi promise lui, suscitandomi una piccola risata.
«Menomale che ci sei tu con me, questo paradiso sarebbe stato un inferno senza te» lo ringraziai io, ricevendo altri baci, però, sulle labbra. Ci lasciammo trasportare dalla passione e finimmo sul letto in camera, senza andare troppo oltre: ero incinta.
Ci mettemmo comodi sul letto e accendemmo la TV.
Solo ora mi resi conto di quanto fossi preoccupata per mio padre e la gang; a differenza nostra e degli altri, loro erano andati incontro al pericolo.
Avrei tanto voluto aiutarli, ma non potevo permettermi di nuocere al bambino.
Poi pensai a Caleb: nonostante ce l'avesse a morte con la madre, era pur sempre la sua mamma e almeno un minimo gli duoleva.
Per tutto questo tempo che saremmo dovuti rimanere qui, mi promisi che sarei stata sempre con Caleb nel tentativo di distrarlo e di dimostrargli che per lui ci sarei sempre stata.
«Che ne dici se andiamo a vedere quel ristorante di cui mi dicevi prima?» gli domandai, quando ormai nessuno dei due prestava più attenzione al programma che facevano in TV. In più era anche ora di cena e io avevo un pò di fame.
«Certo, fanno un ottimo pipistrello grigliato e i loro drink al sangue e limone sono la fine del mondo» rispose lui, citando le recensioni riportate sul depliant.
«Pipistrello? Oddio, che schifo» mi lamentai io.
«Lo dici solo perché fino ad ora hai mangiato solo le schifezze da bosco» mi sfottè lui.
«Beh, se sono così buoni, non vedo l'ora di svuotare gli scaffali della cucina!» risi io, mentre andavo in bagno. Caleb sospirò e mi guardò con aria divertita.
«Ti amo» mi disse.
«Cosa?» chiesi io dal bagno, fingendo di non aver capito.
«Ti amo, ho detto» ripetè lui.
«Eh??» continuai io.
«TI AMO!» gridò lui, per l'ennesima volta.
«È stato bello sentirtelo dire tre volte» risi io.
«Stronza!» scherzò lui.
«Non dire le parolacce: il bambino potrebbe sentirti!» mi lamentai io, indicando il mio pancione. Caleb alzò gli occhi al cielo.
«E non fare così, che gli occhi ti diventano storti!» lo rimproverai.
Mi stavo divertendo troppo.
«E tu chiudi la bocca che ti ci entrano le mosche, babbea!» mi zittì lui, mettendo al posto delle "mosche" la sua lingua.

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