~Capitolo Ventotto~

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-Siete i parenti di Sylvia Medici?- si prestava a dire, preoccupato, un uomo alto moro con un camice verde addosso e con ancora la mascherina bianca sulla faccia. Tremava con cartella clinica tra le mani.

-Si, sono il Padre. Mi dica tutto!- Mete fu costretto ad avvicinarsi, con aria spaventata.

-Vostra figlia...- il primario non fece in tempo a finire la frase che un codice rosso entrò dalla porta del pronto soccorso. -Scusate, devo andare, farò venire un infermiera a informarvi sulla situazione!- gli diede la mano e si allontanò aggiungendo -Mi dispiace!-

Dopo cinque minuti estenuanti. Finalmente una signora in camice uscì dalla porta.

-Voi siete la famiglia di Sylvia Medici. Giusto?-  dal tono determinato.

-Si, io sono il padre. Poi c'è mia moglie e l'altra mia figlia. Vorremmo sapere come sta. Che ha avuto?- riuscì a dire solo queste parole mentre ancora le lacrime uscivano interrotte.

-Vostra figlia ha avuto una forte emorragia interna. Purtroppo ora è in coma. Non riusciamo a svegliarla. È alimentata da un macchinario. Il primario del reparto non sie è espresso. Dice che è giovane per non potercela fare. Anche se ora non da segni di vita.- tirò un sospiro. -Noi stiamo facendo il possibile. Tenete duro.-

Mete, Monica e Sophia alla forza morale di quelle parole, svennero. Alcuni ausiliari del reparto si accorsero di tale reazione ed aiutarono l'infermiera nel rianimarli.

Adagiarono i corpi privi di sensi sulle barelle e con degli schiaffetti sulle guance e odori forti sotto alle narici, riuscirono a riprendere i sensi.

-Sylvia!- urlò Monica mentre si stava riprendendo.

Il delirio più totale. Il dispiacere, l'angoscia di quegli attimi aveva raggiunto l'apice.

-Possiamo vederla?- azzardò Mete mentre stava riprendendo il contatto con la realtà.

-È in sala rianimazione. Potete solo guardarla fuori dalla stanza.-

Avanzarono uno alla volta. Monica volle andare per prima. Mentre con le braccia si abbracciava il ventre come segno di protezione verso la figlia. Come se quel cordone ombelicale non si fosse mai spezzato perché l'amore di una mamma è diverso da qualsiasi altro che si cerca altrove.

Infondo al corridoio scorse un vetro rettangolare doppio, isolante. Con terrore negli occhi raccolse tutte il coraggio. Chiuse gli occhi, si mise frontalmente, li aprì.

Una camera buia, con la sola luce artificiale del neon. La figura era illuminata. I suoi lineamenti dolci, da ragazza, erano avvolti nel mistero. Il colorito ibernato, con macchie violacee come dei lividi avvolgevano la bocca e il contorno occhi. Immobile. Con le braccia distese lungo il corpo. La cuffietta che avvolgeva i capelli. I macchinari accesi intorno al suo lettino. Una scena agghiacciante.

Non ce la fece a guardarla. Riuscì solo a toccare con i polpastrelli la lastra come se volesse accarezzarla. Porto la mano alla sua bocca e pianse forte.

Quando decise di andar via da quel corridoio infernale fece avvicinare anche suo marito. Ma non Sophia. La ragazza non doveva soffrire vedendo la sorella in quello stato. Anche se si dimenava, l'accompagnarono a casa. Intanto fecero partire qualche telefonata. Avvisarono parenti, amici, e tutti accorsero sconcertati. L'unico che non riuscivano a contattare che ad ogni chiamata, il cellulare, risultava spento era Paolo.

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