Chapter Two

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Quando credo che la mia vita non possa andare peggio, ecco che accade qualcosa che mi ricorda che la vita può sempre andare peggio, anche se di per sé fa già schifo.

Il peggio del peggio, nel mio caso, si tratta di un invito ad una festa di Capodanno, perché quella per attendere il primo dell'anno non bastava.

«Per favore, Rain, vieni! Sasha sta ancora vomitando da ieri sera e non me la sento di andare da sola con Calum e i suoi amici» urla al telefono la mia cosiddetta amica, nonché Laila, facendomi venire un mal di testa così forte che preferirei dare cento picchi al secondo contro il muro, trasformandomi in Picchiarello.

«Va bene» borbotto, stanca delle sue preghiere. Un altro urlo mi fa sobbalzare sul letto, facendomi rischiare di cadere per terra. Quasi ci speravo, di cadere, e magari prendere una botta con la testa e morire.

«Michael passerà a prenderti stasera alle dieci» dice, prima di chiudere la chiamata e lasciarmi basita.

Michael, Michael, Michael... chi cazzo è Michael?

Spero il ragazzo bellissimo con i capelli biondi e gli occhi azzurri, lo spero davvero.

🌙

«Dove vai?» chiede mia madre entrando in camera mia, vedendomi di fronte allo specchio con due vestiti in mano, insicura su quale dei due indossare per la festa di stasera.

«Ad una festa» sbuffo, lanciando i vestiti sul letto e sedendomi per terra, fissando in cagnesco la mia figura allo specchio, le borse ben visibili sotto agli occhi e la stanchezza palpabile sull'intero volto.

«Quello nero.»
«Dici?» incrocio lo sguardo di mia madre, che annuisce immediatamente, prendendo il vestito nero tra le sue mani. È corto, ma non troppo. Nero, ma tanto nero. Bello, ma non bellissimo.

«Con chi ci andrai?» domanda, mettendosi a sedere sul mio letto, mentre io indosso il vestito, così semplice che un sacco della spazzatura farebbe la sua stessa figura.

«Amici» faccio spallucce e mi sistemo velocemente i capelli, mossi e castano scuro, cui punte mi sfiorano la schiena, solleticandomela.

«Ricordati di non bere troppo, sai gli effetti dell'alcol su di te» mi ricorda, prima di alzarsi e fare per uscire dalla stanza.

«Mamma, perché proprio io?» mi lagno, mentre una smorfia spunta con naturalezza sul mio viso.

«Si tratta di sangue, e il tuo è perfetto» accenna un sorriso ed esce dalla stanza, lasciandomi sola coi miei pensieri.

Io non sono brava ad avere delle responsabilità, non sono brava ad occuparmi delle cose. Non sono neppure in grado di lavare i piatti senza romperli, figuriamoci.

Ma il sangue non mente e di certo il mio non può farlo.

🌙

«Ciao.»
Rimango delusa quando alla guida della macchina nera, parcheggiata fuori casa mia, trovo il ragazzo che mi ha fatto cadere l'alcol addosso, anziché il dio greco di cui ogni ragazza si innamorerebbe. Ma i miei genitori mi hanno insegnato ad essere educata, perciò rispondo al suo saluto con un cenno e uno sbuffo. Non posso fare di meglio. O forse non voglio.

«Andiamo?» chiedo dopo qualche minuto, visto che è rimasto a fissarmi in modo inquietante, anziché mettere in moto la sua macchina nera.

«Rain, giusto?» annuisco, confusa, e incrocio il suo sguardo. Ha gli occhi d'un verde in grado d'illuminare il suo intero volto e i capelli biondi e sfibrati, sparati in tutte le direzioni, come se avesse preso la scossa prima di uscire di casa. «Ecco, Rain, c'è un problema» si gratta la nuca, imbarazzato.
«Che problema?»

Rain || 5SOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora