Chapter Twenty

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9 Aprile 2017
Phoenix, Arizona

«Be', devo supporre che sia ora di parlare» mormoro, facendo cenno a Calum di andare via così da poter rimanere da sola con mia sorella. Il ragazzo annuisce e mi dà un veloce buffetto sul braccio prima di entrare in casa, come per farmi forza. Lo ringrazio mentalmente e punto lo sguardo su mia sorella, per poi sedermi sul marciapiede di fronte alla porta di casa.

Sunshine si siede accanto a me e il suo sguardo è perso lontano, chissà in quale mondo. «Parla» pronuncia però, atona.

«Sei mia sorella» riesco solamente a dire, deglutendo e cercando di farmi forza.

«Io non ho idea di chi tu sia, però» punta lo sguardo disperato sul mio, altrettanto disperato.

«Questo perché ti è stata eliminata la memoria il 14 Settembre 2016, il giorno dopo il mio diciottesimo compleanno» mi mordicchio il labbro inferiore e trattengo le lacrime mentre i ricordi di quel giorno si fanno vivi nella mia mente.
«Ma perché?»

«Perché...» prendo un respiro profondo e chiudo gli occhi, prima di iniziare a raccontarle, «Devi sapere che tu sei sempre stata la preferita della famiglia. Sin da quando sei nata, io sono stata messa da parte. Hai iniziato a parlare presto, a camminare presto, a ragionare presto. Hai dato loro tutte le soddisfazioni che io non ero riuscita a dargli. La tua prima parola è stata "mamma"; la mia, invece, è stata "pappa", perché il cibo per me veniva prima di tutto» mi fermo per riprendere fiato e mi rendo conto che tuttora, per me, il cibo viene prima di tutto, ma dettagli. «Per tutte queste grandi soddisfazioni e per questa tua immensa intelligenza, loro hanno sempre creduto fossi tu la maga di famiglia...»
«Aspetta, cosa? Maga? Di che stai parlando?»

«Lasciami proseguire» le lancio un'occhiataccia e lei annuisce, addirittura scusandosi. Se la situazione fosse stata a parti inverse, io l'avrei mandata a quel paese. Ma va be'. «Dicevo, loro hanno sempre creduto tu fossi la maga di famiglia, ma, al mio diciottesimo compleanno, ho alzato un po' troppo il gomito e mi sono ubriacata. Ho fatto una magia, per errore, quel giorno» scuoto la testa, desolata, «Non è stata la mia prima magia. Io mi sono sempre sentita diversa, mi sono sempre sentita sbagliata. Spegnevo le candeline prima di esprimere il desiderio perché... vedi quando guardi le candeline sulla torta e speri non si spengano prima del tuo desiderio?» Sunshine annuisce, forse ripensando alle candeline appena spente, «Ecco, io avevo così tanta paura che le spegnevo col solo pensiero. E avrei altri mille esempi da farti. Come quando desideravo un cane e Ares è apparso proprio qui, su questo marciapiede. Come quando guardavo le mie unghie mangiucchiate e speravo ricrescessero per poterle mangiucchiare di nuovo; e ricrescevano, cazzo se ricrescevano. Solo che io non lo capivo, e mamma e papà non mi prestavano attenzione. Mi controllavano solo quando andavo alle feste, perché non si fidavano di me e della mia lingua lunga.»

«Mi dispiace.»
Posso benissimo percepire i suoi sensi di colpa e non posso far altro che scuotere la testa. «Non è stata colpa tua, Sunshine, e forse neanche di mamma e papà. È stato un errore della vita. Io non merito la magia» passo una mano tra i capelli e sbuffo sonoramente, seccata dal mio destino, seccata da tutte le ingiustizie che la mia famiglia sta vivendo. Perché nessuno di noi voleva questo: mia madre non voleva che fossi io la maga di famiglia, e mio padre non voleva insegnarmi la magia, e mia sorella non doveva dimenticare, e io non dovevo saper fare magie.

«Perché lo credi, Rain?» poggia una mano sulla mia spalla e un piccolo broncio le rattrista il viso.

«Perché io sono Rain. Sono la pioggia. E tutti odiano la pioggia quando arriva. E tu invece sei Sunshine. Sei un raggio di sole. E metti gioia a chiunque, dai speranza a chiunque» mi stringo nelle spalle e abbraccio le ginocchia, portandole al mio petto, per proteggermi da me stessa.

«Io amo la pioggia. E come me tanta altra gente. Sta a te imparare ad apprezzarla, ad amarla. Sta a te metterti di fronte ad uno specchio e dire che qualcosa vali, che qualcuno sei. E fidati, Rain, tu vali tanto» mi stringe in un abbraccio e il mio cuore si riempie di gioia, perché mi mancava tanto, perché lei è sempre stata la mia unica certezza, e l'unica a credere in me.

«Ti voglio bene, Sunshine.»
«Anche io, Rain.»

🌙

16 Aprile 2017
Parco Nazionale di Denali, Alaska

«Buona Pasqua a me!» faccio una smorfia, scacciando dalla testa i ricordi della chiacchierata con Sunshine, e osservo la rete sopra alla mia testa, sperando che il peso di Luna sia abbastanza da distruggerla e schiacciarmi. Ma Luna pesa meno di quanto pesassi io alla mia nascita, quindi non mi ci affido molto.

«Mia madre mi ha sempre detto di chiedere ciò che non so, perciò: cos'è la Pasqua?» la voce di Luna arriva ovattata dal letto sopra al mio, perciò suppongo abbia la faccia spiaccicata contro il cuscino.

«È una festività dei non-maghi» le spiego, accoccolandomi meglio tra le coperte. Dio se fa freddo. Rabbrividisco e poi aggrotto la fronte, quando mi rendo conto che sono passati alcuni minuti e Luna non mi ha dato alcuna risposta. Controvoglia, scendo dal letto e mi trovo faccia a faccia con una Luna addormentata, bocca aperta e bava ai lati. «Vaffanculo.»

🌸🌸🌸

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- Tatia;

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