IX. Servus sum

4.5K 212 92
                                    

La villa di Aulio Cestio Apollonio era qualcosa di così opulento e lussuoso che si faceva fatica a tenere gli occhi fissi su un oggetto per più di qualche secondo, tanta era la curiosità di catturare con la vista ogni piccolo particolare. Appena entrati si veniva accolti da un corridoio con busti di uomini politici romani.

Apollonio era stato uno schiavo perciò non aveva una famiglia romana alle spalle di cui vantarsi, come facevano spesso i suoi concittadini. Aveva così deciso di riempire casa sua, invece che con le effigi dei membri della sua famiglia - come era consuetudine - con quelli degli uomini più illustri del passato. Quei volti, la maggior parte segnati dai solchi della vecchiaia - perché i romani non si vergognavano di raffigurare i proprio difetti - con espressioni severe, misero un po' di soggezione in Castria che avrebbe preferito distogliere lo sguardo. Peccato che erano ovunque e le era impossibile fissare qualcos'altro, oltre al fatto che i loro sguardi intensi, e quasi ammonitori, la incantavano impedendole di voltarsi.

Uno schiavo aveva accolto lei e Crisante all'entrata, come tutti gli altri ospiti, e le aveva portate fino all'atrium. Lì iniziò la confusione nella testa di Castria. Non sapeva se fosse dovuta alla grande quantità di persone in quella casa, che parlavano e bevevano creando un rumore di sottofondo, o se invece era dovuto a tutte le ricchezze presenti.

Le pareti erano decorate con rappresentazioni di baccanali e di ludi gladiatori. I colori predominanti erano il rosso porpora e il celeste, così accesi che la luce delle lucerne, che rendevano visibili i disegni, accecavano la vista. la sobrietà non era certo un vizio di Apollonio. Le colonne del portico, in stile corinzio, erano state scolpite su tutta la loro altezza per ricreare dei viticci di vite che si arrampicavano fino al soffitto. E poi erano stati ricoperti di oro.

Degli enormi vasi in ceramica provenienti dall'Egitto campeggiavano anche in mezzo alla stanza, con all'interno enormi piante che raramente era possibile vedere a Roma perché di solito richiedevano un clima più caldo. Sembrava che il padrone di casa ci tenesse a far vedere quanto fosse ricco, credendo così di poter essere anche importante.

Schiavi giravano intorno agli ospiti con vassoi ricolmi di cibo e vino mentre un forte odore di olio profumato permeava l'aria. Le persone, per la maggior parte in piedi, chiacchieravano animatamente, spesso a voce alta senza curarsi del baccano che si era andato a creare.

L'impluvium, più che una semplice vasca per raccogliere l'acqua piovana, sembrava una vera e propria piscina termale tanto era grande e profonda. Sopra l'acqua erano perfino state adagiate delle ninfee bianche che galleggiavano elegantemente a pelo d'acqua. E Castria notò ogni piccolo particolare solo perché in realtà stava cercando una persona in particolare. Quando lo vide, dall'altra parte della stanza, vicino al portico, quasi ebbe un tuffo al cuore, tanto era l'emozione.

Lui era lì, bello e minaccioso, in piedi affianco agli altri gladiatori ma aveva qualcosa di diverso. Non indossava gli indumenti tipici di uno schiavo, bensì quelli di un legionario romano. Sopra la tunica rossa portava una carrozza segmentata, composta da piastre di metallo legate fra di loro, che gli copriva tutto il busto e le spalle. Per evitare che si graffiasse al collo portava un fazzoletto scuro, legato ben stretto, e sotto il mento aveva legato l'elmo, semplice ma funzionale.

Al cinturone era appeso, a sinistra, il gladio, mentre a destra il pugio*. Con la mano destra teneva fermamente il pilum*, puntato a terra come se fosse una bandiera, mentre con la sinistra si appoggiava alla scudo rettangolare. Quest'ultimo era decorato finemente in oro e sopra vi era l'insegna di una chimera. Ai piedi indossava le caligae, tipico calzare dei soldati e al polso destro un bracciale in oro.

Vestito in quel modo sembrava un vero eroe e trasmetteva fiducia e potenza a chiunque lo guardava. Non fissava nessuno in particolare, quasi fosse sicuro di essere la presenza più prorompente e significativa di tutta la stanza. Il suo era tutt'altro che l'atteggiamento di uno schiavo. Castria ebbe quasi un mancamento e le gambe le tremarono per l'emozione. Così agitata che si accorse solo qualche secondo dopo che anche il gladiatore l'aveva notata. Sul suo volto duro e segnato dalle difficoltà era apparsa un'espressione sorpresa, che presto si era tramutata in felicità. E in quel momento le sorrise. Uno di quei sorrisi che dicono tutto e niente, che ti fanno dimenticare di quello che accade intorno. Quei sorrisi per cui sai che saresti in grado di fare qualsiasi cosa. Entrambi, infatti, avrebbero voluto mangiare la distanza che li separava per incontrarsi proprio al centro della stanza. Quasi come se non fossero consapevoli di tutte quelle altre persone.

Ave CaesarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora