XXIV. Vivamus, mea Lesbia, atque amemus

3K 142 86
                                    

Aveva aspettato per giorni il momento in cui si sarebbero incontrati di nuovo. Si era preparato il discorso, cose da dire per convincerla che il Falco che aveva visto alla festa di Tullio Decio non era quello reale. Preda della gelosia, della rabbia e della disperazione aveva lasciato andare una parte di sé che di solito tirava fuori solo durante i combattimenti. Una parte che aveva imparato anni prima quando in quella arena a combattere con le belve ci era finito senza il suo volere.

Ma lei non avrebbe dovuta viverla su se stessa, se non in una pallida rappresentazione durante i giochi. Per questo era preoccupato di quello che pensava di lui. Di come da quel momento lo avrebbe guardato e giudicato. Doveva spiegarle tutto scusarsi e riabilitare l'opinione che lei aveva nei suoi confronti.

Ma quando vide Castria entrare in quella stanza nel luogo che ormai era diventato spettatore del loro sentimento puro e segreto, tutto ciò che voleva dirle gli morì in gola. Era anche più bella di come la ricordava, senza nessun trucco o artificio a coprire la sua bellezza naturale, baciata dalla dea Venere. Non appena incrocio il suo sguardo, lei gli sorrise e, presa dalla gioia di poter stare con lui, gli andò incontro e lo abbracciò con foga.

Ne rimase sorpreso perché, nonostante io modo in cui si erano lasciati alla festa, nonostante lei gli avesse fatto capire che si fidava e che voleva solo lui, Falco non avrebbe mai pensato di essere accolto così calorosamente dalla sua amata. La confusione gli si poteva leggere negli occhi quando le chiese: "Non sei spaventata? Arrabbiata?".

Allontanandosi per osservarla meglio poté intuire che i sentimenti che la pervadevano non erano quelli che lui si era immaginato. E se prima il vederla gli aveva tolto le parole, sapere che in realtà lei non era arrabbiato lo destabilizzò ancora di più. Non aveva quasi più senso tutto il bel discorso che si era preparato con impegno.

"Perché mai dovrei?" chiese inoltre lei, ennesima prova di ciò che Falco non avrebbe mai potuto immaginare. Nella sua mente il loro incontro si era svolto in un modo ben preciso, con lui che cercava di farsi perdonare dopo un momento di reticenza da parte do Castria. Eppure, nonostante non era iniziato come pensava, Falco ai scostò per poterla guardare meglio ed iniziò:  "Mi dispiace per quello che è successo alla festa... " lei forse neanche aveva idea di quanto quelle parole potessero significare per un uomo come Falco, che nella sua vita aveva dovuto pronunciare quelle parole solo davanti a lei.

"Non avrei dovuto urlare contro di te ma sappi che anche se mi hai visto furioso, non avrei mai alzato le mani per recarti danno... Non lo farei mai", di poche cose nella vita era sicuro e quella era una. Neanche sotto effetto di un incantesimo lanciato dagli Dei avrebbe mai potuto fare del male alla sua Castria. E nonostante questo non lo avesse detto lei poteva leggerglielo negli occhi perché annuì, sempre tranquilla e rilassata.

Il fatto che lo stava guardando negli occhi, immobile ed in attesa che lui finisse di parlare, gli diede ancora di più il coraggio per andare avanti, sicuro che anche lei volesse sentire quelle parole. "Non mi pento di aver aggredito quell'uomo senza onore, ma mi dispiace che il mio gesto abbia peggiorato la situazione. Solo, devi capire, che per me è stato troppo. L'acus tra i tuoi capelli, l'annuncio del matrimonio e infine le sue parole... ho perso il controllo della mia parte più razionale, perché è questo l'effetto che mi fai". 

Mentre parlava, cercando di dire tutto quello che provava da quando aveva incrociato quei suoi occhi dolci e pieni di vita nell'arena, camminava avanti ed indietro, gesticolando ed agitandosi come una fiera in gabbia. Non era facile neanche per lui che aveva imparato ad usare la parole tramite le sue lettere. Con Castria però era tutto diverso, lei lo mandava fuori strada, gli faceva battere il cuore così forte che ogni volta che pensava al suo bellissimo sorriso aveva paura di sentirlo uscire fuori dal petto. Gli mandava in ebollizione il sangue e il suo cervello smetteva di funzionare. 

Ave CaesarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora