XXI. Acus discordiae

3K 167 96
                                    

La villa di Tullio non poteva che essere completamente l'opposto di quella di Apollonio. Grande e maestosa, certo, ma senza tutta quella opulenza ostentata dal lanista. Il vestibulum* era arredato arredato con i busti degli antenati della sua famiglia, facce severe che sembravano guardare e giudicare attentamente Castria. Si soffermò ad osservare attentamente il volto solcato dalle rughe del nonno di Tullio. Il naso aquilino, il cipiglio sempre arrabbiato, non sembrava per niente simile al nipote e se non fosse stata per l'insegna in ora affissa sotto il busto non avrebbe mai capito che erano consanguinei.

"Vieni Castria", la chiamò sua madre, ridestandola dai suoi pensieri e costringendola ad entrare effettivamente nel cuore della casa. E la prima cosa che riuscì a vedere una volta lasciato il corridoio, fu la quantità di ospiti in toga. Magistrati, sanatori, pretori, tutti a rendere onore ad una famiglia che di patrizio non aveva nulla. Ma aveva i soldi e il potere, tutto ciò che bastava per essere qualcuno a Roma.

La famiglia di Tullio aveva scelto di abbellire il proprio atrium con scene prettamente marine, affine al grande vaso posto a terra dal quale fuoriusciva una piccola cascata di acqua pulita e fresca direttamente nell'impluvium. Il suono che produceva quel costante fluire sarebbe stato anche dolce all'orecchio se solo non fosse stato coperto dai musici che Tullio aveva ingaggiato per intrattenere i suoi ospiti.

Un suonatore di tibia, che soffiava allegramente all'interno del suo strumento, quasi saltellando prima su un piede e poi sull'altro. Una suonatrice di cetra, seduta su uno sgabello, che sfiorava con tale delicatezza le corde del suo strumento che quasi sembrava non toccarle e che il suono uscisse fuori solo per magia. Un giovane ragazzo che suonava una chitara, così concentrato sulle note che produceva da non tener conto di tutti i presenti. Insieme creavano una melodia accordata in sottofondo alla festa, una melodia in grado di catturarti e farti perdere la cognizione del tempo e del luogo.

Le schiave più belle servivano cibo e bevande spostandosi da una parte all'altra della sala, quasi invisibili alla maggior parte delle persone. Un forte odore di spezie, misto ad un profumo floreale, era la cosa che per prima colpiva il naso degli avventori mentre fiaccole e lanterne illuminavano l'intero ambiente. Il tutto contribuiva a dare alla festa un'aria quasi intima nonostante fossero presenti così tante persone.

Una sensazione di disagio pervase immediatamente il cuore di Castria. Il suo sesto senso le diceva che quella serata sarebbe stata terribile. Non solo perché Tullio avrebbe annunciato il loro matrimonio, ma anche perché quando voltò lo sguardo, vide Falco, in piedi e in fila con gli altri gladiatori. Braccia conserte, gambe leggermente divaricate e la testa girata nella sua direzione. L'aveva vista nel preciso istante in cui aveva messo piede nella villa.

Era impossibile per lui non notarla, specialmente quella sera. Indossava una lunga veste del color del mare in tempesta con una cintola in pelle legata proprio sotto al seno a metterle in evidenza le curve mediterranee e il collo scoperto. I capelli legati dietro il capo senza troppe pretese ma comunque in modo ordinato e un filo di trucco sugli occhi a darle quasi un'aria egiziana. Nel vederla il cuore aveva perso un battito e quando finalmente si accorse che c'era anche lui gli regalò uni di quei suoi sorrisi dolci e sinceri, tutto per lui.

Non perse neanche un istante, si congedò dai suoi genitori evitando così di andare a parlare anche con Tullio, ed attraversò la stanza per avvicinarsi all'unica persona felice di vedere. Non si preoccupò che il suo atteggiamento potesse sembrare strano, c'erano così tante persone in quella stanza che nessuno avrebbe fatto caso a lei. Mantennero entrambi il contatto visivo, come se perdersi di vista non era concepito e quando furono abbastanza vicini tanto che Falco avrebbe potuto afferrarla e stringerla a sé. Ma non lo fece per non insospettire gli ospiti più vicini. Finché si guardavano e scambiavano solo qualche parola andava bene, tutti lo facevano, ma toccarsi in pubblico in modo così intimo era fuori discussione. E il fatto che entrambi volessero invece sfiorarsi, abbracciarsi e baciarsi lo si poteva intuire dai loro sguardi sofferenti.

Ave CaesarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora