XXXV. Veritas inventio

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Dalla strada era possibile vedere l'interno della taverna, dalla quale proveniva un leggero brusio. Se possibile, quello era un'altro posto che Parmenione avrebbe evitato nelle giornate normali, nonostante rientrasse a pieno titolo nella categoria di uomini che vi ci potevi trovare. Vecchi militari in congedo e senza un futuro, liberti dal passato discutibile e in generale uomini senza scrupoli in grado perfino di uccidere per un po' di soldi. 

Uno degli uomini del senatore lo aveva trovato proprio quella notte e Parmenione non si era lasciato sfuggire l'occasione di prenderlo e scambiare quattro chiacchiere con lui. Castore, l'uomo che cercava ormai da settimane e che aveva stroncato la vita di una giovane ragazza senza pensarci due volte. 

Se ne stava seduto ad un tavolo, completamente solo, con in mano un bicchiere di vino probabilmente annacquato, con un'espressione arcigna in volto. Era sicuramente il tipo che non si faceva tanti problemi a sottomettere una creatura più debole di lui e a schiacciarla come se fosse una nullità. 

La domanda che più gli frullava nella mente, mentre lo osservava quasi di nascosto, era perché lo aveva fatto. Non credeva minimamente che una persona come Castore uccidesse una lupa senza alcun motivo, e senza alcun vantaggio. Non l'aveva l'intelligenza adatta ad architettare un omicidio e il fatto che se ne andava in giro a vantarsene ne era la prova. 

Sembrava così tranquillo, mentre si godeva la sua serata, e quindi così presuntuoso da non pensare che avrebbe potuto attirare l'attenzione a causa di quello che diceva. Perché nessuno pensava che potesse importare della morte di una prostituta. 

Si rivolse ai due uomini che ormai da giorni seguivano il gladiatore, con un leggero gesto della testa e un semplice ordine: "Andate a prenderlo, ci vediamo sul retro", e non aspettò che si avviassero all'interno della taverna. Si voltò e girò intorno all'insula dove aveva sede il locale, alla ricerca di un posto più appartato dove parlare. 

Come unica illuminazione una lucerna che portava con sé, sufficiente a far luce sul suo cammino e a fargli vedere eventuali pericoli. Ma quella notte non c'era quasi nessuno per strada, forse a causa del cielo nuvoloso che minacciava pioggia. Parmenione poteva sentirlo nell'aria, che da lì a pochi minuti sarebbe sceso un'acquazzone direttamente mandato da Giove. 

Quando sentì dei rumori sospetti, si voltò per rivolgere tutta la sua attenzione all'uomo che era stato quasi portato via di forza dalla taverna. In realtà Castore aveva scelto di andarsene di sua spontanea volontà perché se avesse voluto evitare l'incontro avrebbe potuto farlo tranquillamente. Era molto alto, muscoloso e ben piazzato quasi come tutti i gladiatori.  

Dalle braccia scoperte era possibile vedere numerose cicatrici che si era fatto quando era stato costretto a combattere nell'arena. Un uomo del genere non si spaventava neanche di fronte ad una minaccia, perché per molti anni ha rischiato la sua vita praticamente tutti i giorni. 

Era un uomo da temere, perché non aveva nulla da perdere. Parmenione invece voleva tornare vivo a casa, nonostante la vita che stava conducendo in quel periodo non era quella che desiderava. Ma aveva dei desideri, ed un sogno per il futuro che non voleva infrangere proprio quella notte. 

Osservò attentamente l'uomo che aveva davanti, sicuro che come lui nascondeva qualche arma sotto i vestiti. Lo temeva, certo, anche se era abbastanza sicuro da affrontarlo, così sicuro che sembrava un vero duro. Non distolse lo sguardo da lui neanche per un secondo e nonostante Castore fosse un po' brillo, anche lui ricambiò l'occhiata. 

"Potete andare, ragazzi, controllate la strada", disse ai due uomini fedeli che fino a quel momento se ne erano rimasti alle spalle del suo interlocutore, pronti ad intervenire qualora ne avesse bisogno. Ma in tutta la sua vita Parmenione non aveva mai accettato le cose semplici, perciò era deciso ad affrontare Castore da solo, senza aiuto. 

Ave CaesarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora