Capitolo 1

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•180gr di biscotti al cioccolato (X)
•100 gr di burro
•500gr di Philadelphia Classica(X)
•120gr di zucchero a velo (X)
•200ml di panna (X)
•1 bacello di vaniglia
•200 gr di lamponi (X)
•200 gr di frutti di bosco misti (X)

<<Okay, mi manca solo...il burro>> dissi, avvicinandomi al banco frigo e prendendone una confezione. <<E...un bacello di vaniglia. Cosa cazzo è un bacello di vaniglia?>> borbotto tra me e me. Avevo ricopiato quella ricetta in fretta e furia quella mattina, ma non mi ero accorta di non sapere cosa diamine fosse un bacello di vaniglia. L'impulso di stropicciare quella lista e lanciarla il più lontano possibile attraversa la mia mente impaziente e seccata; l'unica cosa che me lo impedisce è l'idea allettante di una cheescake fatta in casa, dalle mie abili mani.

<<Il bacello di vaniglia è questo qui, signorina>>. La voce mi strappa dal mio conflitto interiore, tra la violenza contro fogli di carta inanimati e la soddisfazione di appagare il mio stomaco ingordo. Mi giro verso il signore da cui proviene la voce, riconoscendolo come il responsabile del reparto, che mi stava indicando lo scaffale degli aromi.

<<Grazie>> borbotto, mettendo a fuoco quella specie di stecca lunga e nera, confezionata anonimamente in un involucro trasparente. Il commesso mi sorride Prima di ritornare alla sistemazione dei vari scaffali punto ricontrollo frettolosamente la lista mentre pago i miei acquisti, ed esso in fretta dal supermercato. La differenza di temperatura mi infastidisce subito, dato che faceva ancora troppo caldo per essere ottobre. L'aria che soffiava pigra non era anfora abbastanza frsca da poter godere della vitamina D senza ritrovarsi dopo una manciata di minuti sudaticci e appiccicaticci. Sbuffo, infastidita: odiavo il caldo, ed odiavo l'estate. Mi incammino lentamente per le strade poco affollate, rimuginando sul fatto che avevo altre tre ore da riempire prima di poter rientrare a casa; mio fratello David non doveva sapere che non ero entrata - di nuovo, che novità! - a scuola. Questa volta mi avrebbe uccisa. Apro lo zaino e prendo le cuffiette, avviandomi verso il solito posto. Vicino ad un parco al limitare della città, c'era una casa in vendita da quando mi ero trasferita in questo posto (sette anni fa) e all'interno del suo giardino si trovava una una piccola casa sull'albero. Mi erano sempre piaciute le case sull' albero, da piccola desideravo tanto averne una. Questa non era molto grande; aveva una sola spaziosa stanza con due finestrelle e un piccolo "balconcino", se così si poteva definire, posto prima dell'ingresso. Arrivata, scavalco la staccionata con la busta e il mio zainetto in una mano, arrampicandomi per quelle scale artificiali poste sul tronco dell'albero. Entrata nella confortante stanza arredata da me con un bella scorta di cuscini e coperte (che nel tempo avevo portato fin lassù), esco dallo zaino un libro di Ken Follet, "L'inverno del mondo", isolandimi completamente da tutto ciò che mi circonda, mettendo in sottofondo nelle cuffiette del telefoni la mia playlist preferita; ecco il mio significato di pace. Sono talmente immersa dalla lettura che quasi non mi accorgo del sangue che mi esce dal labbro. Avevo il vizio di mordicchiarlo quando ero assorta o nervosa, un vizio che aveva quasi tutto il mondo, ma io proprio non lo lasciavo in pace nemmeno un secondo. Prendo un fazzoletto e inizia a tamponare il sangue, senza smettere di leggere. Dopo quelli che mi sembrano pochi istanti, ma che in realtà sono due ore, il trillo dell'orologio richiama la mia attenzione. Avevo messo quella sveglia per ricordarmi, ogni qual volta che bigiavo la scuola, che dovevo rientrare a casa. Una volta, infatti, mi addormentai e mio fratello uscì pazzo quando rientrai a casa alle 18.00 del pomeriggio, dalle 8.00 di mattina che ero uscita, senza sapere dove fossi finita. A volte David era troppo, troppo, troppo snervante. Quante volte avevo ripetuto la parola troppo? Mai abbastanza. Arrivata nel vialetto di casa, immersa come sempre nei miei pensieri, lego i miei lunghi capelli scuri in una coda alta, perché mi stavano facendo il solletico sul viso, infine entro in casa.

<<Sono a casa>> dico entrando e richiudendo la porta alle mie spalle. Mio fratello David compare in cima alle  scale, vestito di tutto punto per tornare a lavoro. Il suo completo grigio lo fascia alla perfezione, peccato per quei capelli, scuri ed ondulati come i miei, che non ne volevano sapere di rimanere ordinati. Le sue labbra carnose si stirarono in un sorriso quando mi vede. Io cerco di imitarlo, ma sento subito comparire sul mio viso la solita smorfia orribile, così torno seria.

Incompresi ~The Misunderstood Series Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora