Capitolo 6

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Ma chi razza si credeva di essere?
Come si permetteva di dirmi quelle cose, quel brutto pezzo di...

<<Destiny>> esclamò David. Lo guardai, sbattendo le palpebre e rendendomi conto di essere arrivata a casa, esattamente mi trovavo nel salone in quel momento.

David mi venne incontro e mi abbracciò, felice. <<La professoressa White mi ha chiamato e mi ha detto che oggi ti ha interrogata ed è andata bene>>. Rimasi lì impacciata, senza sapere che dire o che fare.

Magari ricambiare l'abbraccio, che dici?

Ma poi, perché la professoressa White e mio fratello David si tenevano costantemente aggiornati? Che avessero una relazione?

Bleah, che schifo.

Mi sciolsi dolcemente dall'abbraccio. <<Beh, g-grazie>> dissi, imbarazzata. <<Sono contenta di renderti orgoglioso>>.

<<Devi essere tu orgogliosa dei tuoi risultati, Dee>> esclamò Jennifer, entrando in salone in un tailleur con pantalone grigio che le fasciava il fisico slanciato.

Le sorrisi mio malgrado, perché effettivamente un po' orgogliosa di me stessa lo ero. Anche se per così poco.

Salii le scale e mi buttai sul letto. Perché non potevo essere un po' più affettuosa? Vedere l'orgoglio negli occhi di David mi aveva scaldato il cuore di sensazioni che non mi permettevo mai di provare.

Andai con i pensieri a quando ero bambina. Ero affettuosa e allegra, sempre con il sorriso sul viso. Poi gli attacchi di panico mi avevano succhiato via ogni energia, ogni pensiero positivo, ogni piccola gioia. Non riuscivo proprio a godermi gli attimi di felicità, le sensazioni positive che provavo...che senso aveva, se poi arrivava un attacco di panico a smantellare via tutto, come il peggiore degli uragani, lasciando solo il vuoto dietro di esso, dentro di me?

Anche disegnare era diventato troppo. Quando disegnavo mettevo dentro ogni disegno tutte le mie emozioni, aprivo il mio cuore e lo lasciavo andare a briglia sciolta. Ma aprire il mio cuore alle emozioni significava aprirlo anche alle emozioni negative, ed io non volevo sentirle. Non volevo sentire niente, perché non ne potevo più.

Meglio la matematica. Fredda. Calcolatrice. Glaciale. Statica.

Eppure disegnare mi mancava così tanto. Mi alzai, avvicinandomi alla scrivania. I colori perfetti mi salutavano allegri, dal bianco al nero. Gli acquarelli, le matite, i pennelli erano tutti lì, ansiosi di essere presi dalle mie mani e dare vita ad qualsiasi disegno.

Sfiorai uno dei fogli bianchi allineati perfettamente sulla scrivania, toccando la carta ruvida, quella liscia ed anche le immense tele.

Poi la porta si aprì ed io sussultai. Mi girai e vidi Jennifer poggiata sullo stipite della porta.

<<Oh,scusa>> disse. <<Dovevo bussare>> si scusò.

Eh, ormai...

Non le risposi e rimasi a fissarla, ancora persa tra i miei pensieri.

Lei si schiarì la voce. <<Volevo chiederti... ti va di venire con me a fare shopping per il matrimonio di Julie?>> chiese, leggermente imbarazzata.

Diamine, no! Non c'era mente di peggio dello shopping!

<<Ehm, io a dire il vero...>> provai a dire ma lei mi interruppe, alzando un dito.

<<Se acconsenti andremo a cenare al Mc Donalds>>.

Merda.

<<Questo è un ricatto>> le risposi  mettendo il broncio, ma lei scosse la testa con un sorrisino.

Incompresi ~The Misunderstood Series Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora