Epilogo

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Sconosciuto.
Il sole al tramonto è uno spettacolo formidabile. Ho sempre adorato come il tingersi del cielo cambi da un arancione tenue, ad un rosso scuro, per poi diventare un blu intenso, quasi nero, il colore della notte. E la notte si sa, è il momento migliore per i consigli, per i pensieri malcelati, per le prime note di una canzone che sta nascendo.
Mentre con la mia macchina vado a più di 120km/h ripercorro quella via, dove c'è casa sua, che per un breve periodo della mia vita mi ha dato tanto. Lei mi ha dato tanto. Ma ormai è acqua passata, una storia conclusa, forse nel peggiore dei modi, ma comunque conclusa.
Nonostante il sole stia tramontando, non accenno a cacciarmi gli occhiali da sole; una vecchia abitudine dura a morire. Sfreccio ancora con la mia auto, fino ad uscire fuori città, sembra quasi che stia rincorrendo quel tramonto. Sono perso con la testa tra la musica, quando la mia meta compare in lontananza. Scalo di marcia, imbocco la rotatoria, esco dalla superstrada e mi avvio verso l'imponente edificio grigio, scolorito, buio, spento. Un posto squallido, che per un brevissimo periodo avevo avuto la sfortuna di conoscere dall'interno. Entro nel parcheggio riservato ai visitatori. Ci sono poche macchine, forse perché oggi non è giorno di ricevimento, ma io devo parlargli. In tutti quegli anni non ho mai avuto così bisogno di parlare con lui. Quello che avevo scoperto era troppo scioccante per ignorarlo come avevo ignorato lui per tutti quegli anni.
Una guardia si avvicina mentre varco lo sportello, mi chiede il motivo della mia visita, chi devo vedere, poi mi fa procedere per un lungo corridoio illuminato solo da qualche squallida lampadina al neon. Alla fine di esso scorgo altre due guardie, che mi fanno segno di fermarmi. Mi controllano ben benino, mettendo le mani ovunque. Io stringo i denti, mentre quelle mi perquisiscono tutto ciò che ho addosso tranne i vestiti, prendono persino i miei occhiali. Fanno scivolare sul mio corpo un metal detector, che rimane silenzioso. Dopo aver appurato che fossi ripulito di ogni cosa, mi scortarono lungo un altro corridoio.

<<Prego. Il detenuto la sta aspettando>> commentò una guardia, indicandomi una pesante porta nera. Il detenuto. Non avrei mai immaginato di sentirlo chiamare così, eppure l'avevo sentito chiamarlo in parecchi modi, da parecchie persone. Risposi con un sorriso cortese, poi mi aprii la porta ed entrai. C'erano solo altri due colloqui. Una donna di mezza età che si appendeva al ricevitore come se ne andasse della sua salvezza, con gli occhi gonfi di pianto fissava il volto dall'altro lato del vetro inspessito. Un viso così simile al suo, ma di tanti anni più giovane. Qualche sedia poco distante da lì c'era una ragazza giovane, troppo giovane  e troppo di classe per essere in un posto così squallido, che litigava con l'interlocutore di fronte: un bel ragazzo, sui vent'anni, pieno di tatuaggi e piercing per tutto il viso che la guardava con un'apparente aria di superficialità. Lei stringeva forte il ricevitore, lui sembrava che non vedesse l'ora di posarlo e andare via da lì. Quel ragazzo poteva ingannare lei, ma non me. Non me, che sapevo bene come i cattivi ragazzi guardavano una ragazza perfetta che volevano avere a tutti i costi, ma che era lontana anni luce dal proprio stile di vita. Senti a me, ragazzina, corri via più lontano da lì. Lui ti ama, ma meriti di meglio.
Scossi la testa, cercando di concentrarmi; non ero lì per perdermi in stupide riflessioni, ma per avere un faccia a faccia con il volto che per tanti anni mi aveva manipolato la vita.
Lui era già seduto lì, con l'aria annoiata picchettava le dita contro il tavolo grigio e freddo. Quando mi vide i suoi occhi continuarono ad essere spenti ma vigili, ed un piccolo sorriso gli solcò il viso.
<<Chi non muore si rivede>> mimò con le labbra, mentre io mi sedevo di fronte a lui. Alzai il ricevitore e lo salutai formalmente.

<<Non pensavo di rivederti così presto>> disse. La sua voce era più roca del solito, e per tutto il tempo che ero stato lì a fissarlo aveva continuato a tirare su con il naso; un brutto vizio del passato. La cocaina aveva scavato il suo volto florido negli anni, ed anche se era lì in carcere e non ne faceva uso ormai da tempo, rimaneva un viso scavato.

<<Hai letto le mie ultime lettere?>> gli chiesi, andando subito al dunque. Non avevo fantasia di perdermi in stupidi preamboli

<<Sì, tutte>>.

<<Non hai risposto nemmeno ad una>> dissi risentito. La mia voce la sentivo rimbombare all'interno del ricevitore, e la sua risata mi arrivò smorzata.

<<Cosa devo dirti? Mi hai scoperto, ancora una volta>>.

Con quella frase confermò tutti i miei sospetti. Per un banalissimo istante avevo sperato che ciò che avevo scoperto fosse falso, un calcolo sbagliato, una coincidenza errata. Lui aveva commesso tanti sbagli in vita sua, aveva commesso delle atrocità, perciò di che mi stupivo? Quella scoperta confermava solo la mia bassa stima nei suoi confronti. Ma da un lato sentivo scaldarmi il petto di un emozione nuova, più intensa e mai provata. Certo, avrei voluto saperlo prima. Avrei fatto qualcosa, avrei rimediato ai suoi sbagli come sempre nella mia vita.

<<Perché non me l'hai mai detto?>> gli chiesi, con la voce cattiva. <<È un fatto che interessa pure me!>>. Avevo alzato il tono della voce di parecchie ottave, ma nessuno fece caso a me. Lui iniziò a ridacchiare, scuotendo la testa.

<<Lascia che ti spieghi>> sibiliò. Passò una mano sul viso malamente rasato, prendendosi qualche minuto. Io vagai con lo sguardo per la stanza, cercando di mantenere la calma; la ragazza ricca e di buona famiglia stava urlando qualcosa al ragazzo dall'altra parte del vetro, che la fissava impassibile. Le guardie vennero a prelevarla, perché stava facendo un baccano inaudito, dimenandosi persino tra le loro braccia. Uscirono dalla stanza, e lei non poté vederlo né saperlo, ma il ragazzo affondò il viso tra le mani, scosso da qualche singhiozzo. Mi voltai di nuovo verso il mio interlocutore, che aveva ripreso a parlare con la sua voce rauca e amplificata.

<<Non ho idea di dove l'abbia nascosto. Di dove sia. La puttana l'ha protetto bene>> sbottò inacidito. <<L'ho visto per quanto? Appena una manciata di settimane!>>. Il suo viso assunse un espressione cattiva, famelica. <<Ho avuto altri affari per la testa, ma non ho mai abbandonato  la mia ricerca. Non ho nessuna pista. Se non il suo nome>>.

Che lui non avesse alcuna pista voleva dire che era stato nascosto, protetto da lui ben benino. Così diedi voce ai miei pensieri. <<Ti conosce>> dissi. <<Avrà preso ogni precauzione da te e da tutti i tuoi scagnozzi>>.

Lui annuì serio, poi mi fece un sorrisino. <<Esatto, da me. Ma non da te>>.

Mi inclinai sulla sedia, tirando un po' di più il filo della cornetta. Lo guardai con aria strafottente, ma soprattutto arrabbiata, per essere di nuovo in mezzo ad un suo casino. Solo che quella volta una piccola parte di me reclamava l'essere parte di quella vicenda, perché interessava anche me.

<<Cosa ti fa pensare che ti aiuterò?>> gli chiesi. Mi resi conto che mi stava rigirando, com'era sua abitudine fare. Ero venuto qui per chiedergli spiegazioni, per sapere la verità su una cosa che sembrava non interessargli nemmeno, ed invece me ne andavo con un compito. 

Un compito che incosciamente avevo già deciso di portare a termine.

Lui si tese sulla sedia, avvicinandosi al vetro. La sua espressione era urgente, sbrigativa e nervosa.

<<Scopri chi ce l'ha. Scopri chi l'ha preso. Lei lo sa, lei l'ha sempre saputo>> sibiliò. Poi posò la cornetta, tenendo ancora lo sguardo fisso su di me. Alzai leggermente un sopracciglio, perché non avevo idea di dove trovarla, di che strada seguire o come avvicinarmi. Dovevo elaborare il piano per bene.

Lui si avvicinò ancora di più al vetro, con un espressione inquietante.

Poi, scandendo bene le lettere, mimò il suo nome, il nome da cui sarebbe partita la mia ricerca, con le labbra. 

Fine

Incompresi ~The Misunderstood Series Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora