Capitolo 8

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Per giorni non l'ho più incontrato, neanche per caso all'università. La sera o la mattina presto non sentivo alcun rumore provenire dalla sua camera, come se non la usasse affatto.

Se non dormiva lì, dove dormiva?
E con chi?
Non sono affari che ti riguardano...Non credi?
Già.
Non sono affari miei.
Non lo conosco neanche...

Scendo dal letto e preparo la borsa con tutto l'occorrente per cucinare un po' di carne. Infilo la chiave della stanza in tasca e mi dirigo in cucina.
Dalle risate che sento deve essere piena, inizio già a sudare freddo. Non so cucinare ed essere osservata è terribile.

Mi blocco poco prima della porta di vetro, voglio davvero affrontare tutte quelle persone che mi fisseranno?
Dovrai pur mangiare...
Con un sospiro apro la porta e una decina di persone si girano a guardarmi, come se fossi una specie di alieno. Cerco di sorridere ma mi esce fuori solo una smorfia. Con falsa tranquillità, appoggio le mie cose su uno dei tavoli in legno e tiro fuori la pentola e l'olio.

Le chiacchiere riempiono l'aria con estrema velocità e tiro un sospiro di sollievo. Alcune ragazze spagnole ridono e scherzano con alcuni ragazzi stranieri, un paio di ragazze controllano il loro cibo che cuoce sulle piastre. Mi metto in fila, aspettando il mio turno, considerando che le piastre attive sono solo tre.

Mi sento invisibile, ed è una sensazione fantastica per una come me. Allo stesso tempo un mare di pensieri invadono con prepotenza il mio cervello.
Perché sei così asociale? Non ti piacerebbe avere un gruppo di amici con cui passare il tempo?
Certo che si!
Allora cosa ti frena?
Aspetta, non rispondere, lo so già.

Distratta dalla lotta che pervade la mia povera psiche non mi accorgo che una piastra è stata liberata. Poggio la pentola, spargo un po' d'olio e poi la carne.

All'improvviso si innalza un enorme nuvolone grigio. La cucina cala nel silenzio mentre parte l'allarme antincendio. La campanella suona così forte che i timpani quasi si rompono, le porte in acciaio si chiudono di botto.
Ti prego, dimmi che non è ciò che penso...

Tutti gli occhi sono puntati su di me.
La porta si spalanca per lasciar entrare un ragazzo massiccio.

<<Aprite le finestre svelti!>> impartisce ordini come un generale, avanza nella nube e si pone al centro della stanza.

<<Si può sapere chi è il coglione responsabile di questo casino?>> chiede con le braccia incrociate sul petto, le sopracciglia aggrottate e le labbra talmente strette da essere bianche.

Nessuno parla ma i loro sguardi sono inequivocabili.
Che figura di m***a.
Il vento spazza via gran parte del fumo provocato dalla mia sbadatagine. Riesco a vedere meglio il ragazzo che si avvicina lento, quasi felino. Fa quasi paura.

<<E tu chi diavolo saresti?>> domanda stanco.

Da vicino sono visibili le occhiaie intorno agli occhi chiari, di un blu intenso, più che arrabbiato sembra provato. Con il volto probabilmente viola per la vergogna cerco qualcosa di sensato da dire ma il cervello è poco collaborativo.
In questo momento non esisto bella! Dovrai cavartela da sola.
Quanto vorrei sparire in questo momento!!!

<<Ma capisce l'italiano questa qua? Ha qualche problema?>> sbotta guardando gli altri ragazzi, che si sono piano piano avvicinati per sentire meglio.

Una risatina generale pervade la stanza e vorrei solo sprofondare, per non risalire più. Trattengo il respiro e chiudo la mia emotività talmente infondo che sarà difficile ritrovarla dopo.

<<Capisco l'italiano, bifolco che non sei altro.>> ribatto con i pugni serrati.
Avrò anche sbagliato ma non merito un simile trattamento.

Il solito casino. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora