16. Non torno a Londra

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"Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino"
(Alessandro Baricco)

Ancora non le sembrava vero. Il momento prima era felice tra le braccia di Harry, mentre l'istante dopo il suo mondo le era caduto addosso.
Con la stessa forza di una valanga, quella telefonata, le aveva tolto ogni cosa: il sorriso, la felicità, la speranza.

Suo padre era tutto per lei. Ovviamente, ogni papà ha un posto speciale nel cuore della figlia, ma non tutti potevano vantare un rapporto come il loro. E ora Bea, mentre si trovava su quell'aereo diretto a casa, non poteva fare a meno di pensare a tutte le volte in cui gli aveva dato qualche dispiacere.

Sapeva che è nella natura dell'uomo darsi colpe quando si sta per perdere qualcuno di speciale, ma questo non la faceva sentire meglio. Si incolpava per tutte le volte in cui non lo aveva ascoltato, capito; magari quella volta avrebbe potuto guardare un film con lui invece di uscire con gli amici, forse quell'altra volta ancora sarebbe stato meglio abbracciarlo al posto di rimanersene in camera a studiare. Forse, se, magari.
La sua testa era piena di pensieri sconnessi e ricordi tristi che non facevano altro che lasciarle l'amarezza di poter aver fatto di più.

"Tesoro, sono qui!"

Nemmeno si era accorta di essere scesa dall'aereo, ma la voce di sua madre la svegliò dallo stato di apatia che aveva avuto per tutto il viaggio. La guardò assente, mentre si sbracciava per farsi vedere e a malapena riuscì a stringerla quando venne avvolta da un abbraccio materno.

"Come sta?" fu l'unica cosa che riuscì a dire, nonostante non si vedessero da mesi.

"Ora è stabile, ma lo tengono ancora in terapia intensiva" le rispose Giulia.

Sapeva il legame che c'era tra suo marito e la figlia e si rendeva conto di non essere mai stata una mamma presente; per questo comprese il comportamento di Bea senza rimanerne risentita.

La ragazza annuì e mentre si lasciava trasportare alla macchina mandò un messaggio ad Harry, come le aveva chiesto di fare.

Sono arrivata. Mi manchi.
Bea

Harry aveva insistito per tornare con lei, ma Bea lo aveva convinto a restare. Il tour non poteva continuare senza di lui e la sua presenza a Verona non avrebbe cambiato le cose.
Così si erano lasciati in aeroporto, con la promessa che si sarebbero rivisti a Londra entro una settimana.

Il tragitto fino all'ospedale le sembrò più lungo del viaggio in aereo. Cercava di passare il tempo guardando le gocce di pioggia che scivolavano stanche lungo il finestrino, ma ben presto quella distrazione non le bastava più. Troppi ricordi tristi le affollavano la mente e nemmeno i tuoni riuscivano a sovrastare il rumore dei suoi pensieri.

Cercò allora di pensare ad Harry: ai suoi occhi verdi come il mare, alla sua voce dolce come una ninna nanna, al profumo della sua pelle in grado di farla sentire al sicuro e finalmente riuscì ad addormentarsi.

***

"Beatrice, siamo arrivati"

Aprì gli occhi confusa quando vide sua madre che le sorrideva. Credeva ancora di essere negli Stati Uniti, ma il sorriso triste di Giulia le fece ricordare ogni cosa.

Per inerzia si trovò davanti ad una porta chiusa. La scritta Terapia intensiva campeggiava sulla superficie metalizzata. Oltre quella soglia avrebbe potuto stringerlo di nuovo.

"Se non te la senti, non importa" mormorò sua madre con una mano sulla sua spalla.

Non le rispose nemmeno. Aveva attraversato un oceano per questo e ora che si trovava a pochi passi sentiva la necessità di vederlo. Premette il pulsante e la porta si aprì in automatico rivelando una stanza asettica, così bianca che le bruciarono gli occhi. Quando la porta si chiuse alle sue spalle indossò tutto il necessario per entrare: camice, mascherina, calzari.

Managing your life ○ hes.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora