Il giorno dopo Gillian si alzò verso le 5. Si preparò. Diede un bacio ad Alice, piano, dato che per una volta era riuscita ad addormentarsi, e salì in auto. Arrivò alla panetteria con leggero anticipo. Damiani era già lì che la aspettava.
– Buongiorno Gillian! – la salutò cercando di darle un bacio sulla guancia. Lei si spostò in tempo per evitarlo.
– Buongiorno Damiani.
– Chiamami Mauro.
Gillian non rispose. Era ovvio che non lo avrebbe fatto. Lo sentì sospirare. Non le importava niente. Non voleva che pensasse che lei lo avesse già perdonato. Non lo avrebbe mai fatto.
– Dai, entriamo. – la esortò.
La cucina era ampia e fresca. Mauro si mise subito al lavoro. Iniziò a cucinare i dolci e le focacce e conversò tranquillamente con i suoi nuovi colleghi. Se fosse stato un normale detenuto, Gillian forse lo avrebbe trovato anche simpatico, ma lui non era un normale detenuto e Gillian, qualunque cosa facesse, lo trovava solo estremamente irritante.
– Forza assistente sociale! Vieni a lavorare anche tu! – la prese in giro Damiani. Lei sorrise. In fondo le era sempre piaciuto cucinare, lanciò un'occhiata al proprietario che la incitò a sua volta. C'era lo zampino del suo direttore, ne era certa. Andò al bancone e si mise a cucinare insieme a Damiani.
Cercò di stare il più lontano possibile dall'ex-detenuto e, ogni volta che lui si avvicinava, anche solo di poco, lei si spostava, come se lui fosse contagioso. Eppure, Gillian lo notò, Damiani piaceva a tutti. I proprietari lo adoravano e persino i commessi. Tutti. Tranne lei. Certo. Perché lei era l'unica che lo vedeva per come era veramente. Un meschino. Un mostro. Un assassino.
La giornata sembrò durare un'eternità. Gillian si sentiva stanca e irritata. E proprio non riusciva a sopportare il fatto che tutti fossero gentili con lui. Sentiva un rosso così furibondo inondargli il corpo. Come uno tsunami che partiva dal petto e si spandeva ovunque, distruggendo ogni cosa incontrava. Nascondendo quel grigio così piatto e vuoto. Avrebbe voluto solo far sparire quello stupido sorrisetto dalla sua faccia. Avrebbe voluto fargli sentire tutto il male che provava lei. Tutto il vuoto che provava lei. Per colpa sua. Avrebbe voluto solo...Fare qualcosa. Ed era da troppo tempo che ciò non capitava.
***
Una volta tornata a casa cercò di tranquillizzarsi. Quel rosso la destabilizzava. Senza pensarci più di tanto prese un foglio pulito e iniziò a disegnare. Aveva appena iniziato quando suonarono alla porta. Gillian si asciugò le mani in uno strofinaccio e andò ad aprire. Decise che avrebbe fatto mettere uno spioncino, così la prossima volta avrebbe finto di non essere in casa. Mauro Damiani la guardava incuriosito, appoggiato al muro.
– Che vuoi? – chiese scorbutica. Lui sorrise, per niente intimorito.
– Hai fame? Scommetto che non hai ancora mangiato.
– No.– rispose e gli chiuse la porta in faccia. Damiani non si scoraggiò. Voleva parlarle. Ad ogni costo. Cercò una finestra aperta, ma non la trovò. Tuttavia ne trovò una da cui vedeva perfettamente ciò che la ragazza stava facendo. Dipingeva. Con le mani. Rimase a guardarla dipingere finché lei non si girò e si accorse di essere osservata. Si avvicinò alla finestra, minacciosamente. La aprì.
– Lo sai? Potrei denunciarti per stalking.
– Ma non lo farai, vero? – le disse sorridendo, sornione.
Lei incrociò le braccia, senza rispondere.
– Perché mi stai spiando?
Avrebbe voluto spiegarle tutto. Avrebbe voluto poterle dire la verità. Invece restò lì. Muto come un pesce. Gillian sbuffò.
– Vedi di stare lontano da me. Io e te non siamo amici e non lo saremo mai, chiaro?
Lui annuì e se ne andò. Gillian si sistemò la coda alta che si era fatta, poi tornò a dipingere. Una volta finito il quadro lo guardò. La lasciò più turbata del precedente. In questo vi erano lei stessa e Alice, che si aggrappava alle sue gambe, dietro delle sbarre di una prigione. Una prigione grigia. Mentre fuori i colori illuminavano tutto. La Gillian del quadro aveva le mani che tenevano le sbarre. Come se avesse voluto uscire.
Capì che così non poteva andare avanti. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
– Pronto?
– Michi, sono Gill. Ho bisogno di parlare. Quando stacchi?
– Neanche cinque minuti e sono da te.
***
– Dimmi tutto, Gill. Che succede? – chiese Michelangelo. Gillian sospirò. Era dura per lei conversare normalmente con le persone. Non era ancora abituata.
– Si tratta di Damiani. – si sedette di fronte al ragazzo – Come ha fatto a uscire così presto? Insomma, gli assassini di solito non stanno dentro almeno una decina di anni?
Era da un po' che Gillian ci pensava, non se l'era chiesto subito, troppo presa dal pensare che fosse di nuovo libero, ma ora era un chiodo fisso. Michelangelo la guardò un attimo in silenzio. Possibile che non sapesse niente? Sì. In fondo non era mai andata al processo, se non per il verdetto.
– Ehm...non so se sono la persona giusta per dirtelo...
– Ti prego, Michi.
Lui sospirò.
– Se ti dicessi che lui è stato minacciato al fine di uccidere Roberto, come reagiresti?
Come reagirebbe? Si sentì il pavimento mancare sotto i piedi. Cosa voleva dire che era stato minacciato per ucciderlo? Chi mai avrebbe voluto uccidere Rob?
– Ah. – disse solo – Sai da chi?
– So che Mauro ne ha parlato con la polizia che ora sta indagando. Se scopro altro ti faccio sapere.
– Sì. Grazie, Michi. Sei un amico.
– L'ho fatto con piacere. Ora ti lascio. Devo tornare a lavoro. – disse Michelangelo. Lei lo strinse in un abbraccio. Forte. Le era mancato. Le era mancato terribilmente e se ne era resa conto solo in quel momento. Stringendolo a sé. Sentendo il suo profumo. Percependo il suo colore. Così calmo. Così dolce. Così...di casa. Lui rimase inizialmente stupido, poi l'avvolse con le sue braccia, avvicinandola a sé. E si sentì bene, dopo tanto tempo, finalmente stava bene.
– Okay ciao, Michi. Grazie ancora. Salutami tua moglie.
Lui le lasciò un bacio sulla guancia, poi se ne andò.
Gillian rimase a rimuginare su ciò che le aveva detto. Com'era possibile che qualcuno volesse uccidere suo marito? In cosa si era cacciato? Sperava fosse perché voleva fare la cosa giusta anche a costo di rischiare la vita. Guardò l'ora. Le 15.45. Era troppo tardi per andare a scoprire qualcosa nello studio. Ci sarebbe andata il giorno dopo. Si preparò e andò a prendere Alice.
STAI LEGGENDO
IL SAPORE DEI COLORI
ChickLitPer Gillian i colori sono ciò che caratterizzano le persone, le emozioni, la vita. Gillian ama la vita e ama i colori. O forse sarebbe meglio dire 'amava'. Due anni fa tutto ciò ha smesso di avere importanza. Due anni fa la sua vita è stata distrutt...