Capitolo 10

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Erano solo le 5 del mattino. Gillian si stava annoiando a morte. Era abituata a non dormire ma non si era ancora abituata al lento passare delle ore. Solitamente leggeva qualcosa per passare il tempo, ma quella notte non riusciva proprio a concentrarsi su niente. Così si alzò dal letto. Prese fogli e colori e iniziò a dipingere. Per prima cosa riempì i vari spazi presenti nella tavola. Giallo. Rosso. Blu. Verde. Nero. Bianco. Intinse le dita in diverse tempere e le posò sulla tela. Le faceva scivolare come una barca trascinata dalla corrente. Aveva sempre dipinto seguendo le emozioni. Senza pensare al senso. Così le venivano le opere più belle. Si asciugò le dita e cambiò colori. Era una sensazione meravigliosa vedere i colori prendere vita sulla sua tela. Sarebbe stata una cosa meravigliosa se Gillian fosse stata in grado di ricordare cosa fossero i colori. L'unico di cui era sicura era il giallo. Il giallo era Alice. Il giallo era ridere insieme. Sentire la sua voce al parco giochi. Vedere il suo sorriso sdentato per via di un bel voto. Alice era il giallo. Non avrebbe saputo definirlo meglio.

E poi c'era il rosso. Quel colore che aveva affiancato il grigio e che era sempre presente da quando aveva visto Damiani. Quel colore che non avrebbe saputo definire. Era rabbia. Irritazione. Era quel sorrisino strafottente che aveva sempre sulle labbra. Quel suo tono di voce canzonatorio. Era il sangue che aveva versato. Il sangue che inondava la strada. Il sangue che si sentiva sulla pelle. Lo aveva trovato lei Rob quella notte. Si ricordava bene il sangue che fuoriusciva dal corpo, annegando ogni cosa. Anche lei. Si ricordava di come lo aveva stretto tra le braccia. Di come aveva guardato quegli occhi spenti. Era arrivata troppo tardi. Se ne era accorta dal primo sguardo. Eppure continuava a parlargli. A incitarlo di resistere. A dirgli di tornare da lei. Lo aveva accarezzato e baciato, piangendo tutto quello che aveva dentro finché la polizia non l'aveva trascinata via, coprendolo con un telo grigio. Come grigia era la strada. Come grigia era la sua vita. Non aveva più versato lacrime che non fossero per lui.

Non si rese nemmeno conto di star singhiozzando. Si coprì il volto con le mani, incurante delle tempere ancora su di esse. Si passò le dita tra i capelli più e più volte. Erano anni che non ripensava più a quel momento. Aveva deciso che non ci avrebbe mai più pensato. E invece ora era tornato a galla. Le lacrime continuavano a scendere inesorabili. Non aveva la forza di fermarle.

Restò seduta, con il quadro davanti, a guardare il vuoto, finché le lacrime non si fermarono. Si asciugò gli occhi. Si alzò. Fece una doccia veloce cercando di cancellare i ricordi. Andò in camera. Si guardò allo specchio. Non le era mai piaciuto farlo. Non si piaceva. Troppo in carne. Troppo seno. Eppure si ricordava di come Rob la guardava. Come se fosse la donna più bella del mondo. E, con lui, lei si sentiva davvero così. Ma lui non c'era più. Sorrise mesta a se stessa e si vestì.

Una volta pronta tornò davanti alla tela. Si rese conto solo in quel momento cosa avesse dipinto. Il quadro era in bianco e nero. Rappresentava una strada. Quella strada. Al fondo della via vi erano due figure. Una accasciata in terra. L'altra che la stringeva a sé. In terra si allargava una pozza rosso fuoco. Gillian rimase inorridita dal quadro. Si affrettò a coprirlo e lo nascose nell'armadio.

Dopodiché andò in cucina a preparare la colazione. La vibrazione del suo cellulare la fece sussultare.

– Pronto?

– Buongiorno Gillian!

Gillian si stupì. – Cosa ci fai già sveglio, Damiani?

– Sapevo che non avresti dormito. Volevo chiederti se ti piacciono i cornetti.

– Perché? – chiese già preoccupata.

– Perché li ho comprati per colazione.

– No, aspetta, stai venendo qui?

IL SAPORE DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora