3: Oasi di pace

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1 Settembre 2003

Draco's p.o.v.

«Draco, sei impazzito?» sibila Pansy.

È in piedi in mezzo alla mia stanza, con indosso solo un paio di mutandine di pizzo nero, le mani piantate sui fianchi e il seno, arrossato da ciò che abbiamo fatto fino a poco fa, proteso arrogantemente in avanti. Le dona, il nero, che è l'unica cosa buona che posso dire di lei in questo momento. Dopo più di due settimane a Malfoy Manor, due settimane delle quali una buona porzione l'ha passata nel mio letto, non riesco più nemmeno a sopportare il suono della sua voce.

Tranne quando è sotto di me e geme, s'intende.

Per il resto... basti dire che dalle sue labbra carnose non escono che lamentele, su tutto. Mi sembra la copia al femminile (e un po' più sana di mente) di mio padre.

"Il Ministero ha fatto questo, il Ministero ha fatto quello, il Ministero non ha alcun rispetto per le nostre famiglie, anche se sono quelle col sangue più nobile..."

Non è lei che ha passato tre mesi ad Azkaban, però.

Quando non si lamenta è forse anche peggio, perché continua a fare riferimenti non troppo velati al fatto che dovremmo "rendere pubblica la nostra relazione".

Non ha ancora capito che non c'è alcuna relazione da rendere pubblica, eppure sono sempre molto chiaro. Lei arriva, scopiamo, al limite dopo scambiamo quattro chiacchiere, magari poi scopiamo ancora e alla fine lei se ne va. Punto.

Lei non sa niente di me, della mia vita e io so poco della sua, e nemmeno mi interessa conoscere qualcosa in più.

Stavolta, però, le ho dovuto dire qual è la meta del mio viaggio di oggi pomeriggio e perché non mi vedrà più almeno fino a Natale. Non che mi freghi di lasciarla in sospeso – sono sicuro che ha altri trastulli per passare il tempo – ma quando i primi gufi partiranno da Hogwarts, domani mattina al più tardi, chiunque abbia un parente anche solo di quindicesimo grado a scuola saprà chi è il nuovo professore di Volo.

«Non sono mai stato più sano di mente» rispondo, lanciandole il reggiseno, che si era ingarbugliato tra le lenzuola, in mezzo alle quali sono ancora sdraiato.

«Perché?»

«Perché me l'hanno chiesto.»

«Chiesto o imposto?» Sembra già pronta a lanciarsi in una nuova filippica contro il Ministero e i suoi leccapiedi.

«Chiesto.»

Non le dico che, quando mi ha convocato, la Mc Grannitt mi ha fatto capire che al Ministero non erano poi così entusiasti della sua decisione di affidare a me la cattedra.

«Potevi dire di no.»

«E invece ho detto di sì.»

«Ma perché?» domanda lei, lanciando le mani in aria, movimento che fa oscillare il suo seno pieno.

«Non ci arrivi? Così posso controllare che non facciano il lavaggio del cervello ai nostri ragazzi.»

Si morde il labbro, pensosa, e alla fine sorride, annuendo. Troppo assorbita nel passato, non si rende nemmeno conto che la sto prendendo in giro, che non me ne può fregare di meno di ciò che gli studenti assorbono, a Hogwarts o in qualunque altro posto del mondo.

Non lo so, perché ho accettato la proposta della Mc Grannitt. Anzi: non ho nemmeno la più pallida idea del perché abbia deciso di assumere proprio me, lei che non ha mai dimostrato un minimo di simpatia nei miei confronti. Lei che era sempre lì a sbrodolare dietro a Potter... dietro a Silente.

E io ho praticamente ammazzato il secondo e ho contribuito a mettere in serio pericolo il primo, più di una volta.

È illogico che io vada a Hogwarts, eppure... nel niente che anima la mia vita da quattro anni a questa parte, c'è qualcosa che mi attira in quella direzione. È tanto che non succede che qualcosa smuova anche solo un briciolo della mia attenzione, se non quel che riguarda i bisogni più momentanei e animali, come mangiare, dormire o... il mio sguardo accarezza la figura di Pansy, che non si è ancora disturbata a indossare il reggiseno.

C'è ancora un po' di tempo.

Con uno scatto sono in piedi. La afferro e la getto di nuovo sul letto. Lei ride e si apre a me, accogliente. Poi, nella stanza, risuonano solo i suoi singulti di piacere.

Non ho più traccia del suo odore addosso, più tardi, quando scendo a pranzo.

Lei è andata via e io ho avuto tutto il tempo per preparare i miei pochi bagagli. Vestiti, principalmente, anche se la gran parte di quelli più eleganti, quelli che erano il mio marchio di fabbrica prima della guerra, li lascerò qui.

Tutto è pronto per la partenza: quando sarà l'ora, mi basterà Smaterializzarmi verso i confini del territorio di Hogwarts. Mi resta solo una cosa, da fare: dirlo a mio padre.

Non è facile bucare il muro di gelo che lo circonda.

«Devo dirti una cosa, papà.»

Poso la forchetta accanto al piatto: ho appena terminato un dolce di cui non ho nemmeno sentito il sapore. Lui non dà cenno di avermi udito.

«Padre?» riprovo.

«Ti ho sentito, Draco. Va' avanti.» Scribacchia qualcosa sulla sua pergamena.

Inspiro, tenendo a bada la rabbia e non solo.

«Ho accettato un nuovo lavoro, inizio oggi.»

Il lieve stridio della penna si ferma.

«Noi non abbiamo bisogno di lavorare, Draco. Non so quante volte te lo devo dire. Ho sopportato fin troppo le tue idee balzane, finora. L'unica cosa che dovresti fare è stabilirti qui e aiutarmi ad amministrare il patrimonio.»

Stringo i denti.

«Ci abbiamo provato, ricordi? Non ha funzionato.»

Lui scrolla le spalle.

«E sentiamo, che lavoro sarebbe?»

Prendo un gran respiro, sollevo il mento anche se lui non lo vede, dato che non ha ancora sollevato lo sguardo da quella maledetta pergamena.

«Insegnerò Volo ad Hogwarts.»

Faccio a malapena in tempo a finire la frase. Nonostante cinque anni di fughe, lotte, combattimenti e imboscate, non mi sarei mai aspettato che succedesse proprio questo, proprio qui.

Lui, che con una velocità impressionante estrae la bacchetta dalla tasca. Lui, che prima che io possa rendermi conto che il mio stesso padre mi sta attaccando, si mette a gridare.

«Expelliarmus! Crucio!»

La mia bacchetta vola chissà dove e io rotolo a terra, i visceri attraversati da lame bollenti. Cerco di non urlare, di non dargli questa soddisfazione.

«Crucio»

Ancora il mio corpo è invaso di un dolore tale da togliermi il fiato, da obnubilarmi i sensi. Rosso e viola, vivido di lampi e acuto e terribile.

Lui si inginocchia accanto a me, mi scosta dalla guancia sudata una ciocca di capelli che è sfuggita alla treccia. La sua voce è quasi tenera, quando mormora al mio orecchio.

«Vorrei che fossi morto tu, al posto suo. Crucio

Per quanto sembri impossibile sono le sue parole, non il suo incantesimo, a fare più male.

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