2 Febbraio 2004
Pansy's p.o.v.
Sono le dieci e mezza passate e Millicent non si è ancora fatta viva.
O meglio: non si è fatta viva stasera, perché oggi mi ha già chiamata tre volte per ricordarmi di questo appuntamento. Tre. Volte.
Mi aggiro per la stanza, percorrendone avanti e indietro gli stretti confini, sollevando e riposizionando oggetti, passandomi un altro strato di rossetto e lanciando di continuo occhiate al maledetto specchio. Sono nervosa e non capisco nemmeno io perché. In fondo devo solo stare a sentire per qualche minuto questo fantomatico Presidente, di cui Nott non mi ha mai voluto rivelare l'identità ma che immagino sia qualche vecchio trombone rancoroso, declinare con gentile fermezza l'invito a diventare membro attivo del partito in formazione e finalmente andarmene a letto a dormire.
Eppure...
Eppure ho una brutta sensazione, come se qualcosa mi sfuggisse.
Per esempio: perché ogni singola volta che mi ha chiamata, Milli ha insistito nel ricordarmi che devo stare chiusa in camera mia, proprio lì e in nessun altro posto?
Perché mai non dovrebbe andare bene, che so, l'ufficio di Poppy che è già andata a letto, la Stanza delle Necessità o la cima della Torre di Astronomia o un qualsiasi altro posto solitario di questo stupido castello? Ha paura che qualcuno possa sentire... cosa, di preciso, se nei prossimi giorni comunque il partito uscirà allo scoperto? E poi, chi dovrebbe sentirmi, uno dei fantasmi? Gazza e la sua stupidissima gatta? Non capisco, ma la cosa non mi piace.
Anzi, non capisco E la cosa non mi piace. Sento un formicolio alla base del collo, come lo spettro del passato che mi riporta alla mente ricordi non del tutto piacevoli e a un tratto, la paura mi stringe la gola.
La paura di non essere altrettanto fortunata dell'ultima volta. La paura di vedere la mia tranquillità infranta. La paura di essere dalla parte perdente ancora una volta.
E forse, anche, la paura di vedere di nuovo le persone intorno a me morire.
Cerco di ripetermi che sto esagerando, che non c'è niente che non vada. Che si tratta solo di un partito politico che non farà altro che spingere per l'approvazione di qualche legge.
Più ci penso, però, più il respiro esce a fatica dai polmoni, più i miei movimenti si fanno secchi e nervosi. Finché non ce la faccio più, e allora mi infilo un mantello sopra la divisa che non mi sono ancora tolta, ficco in borsa lo stramaledetto specchio ed esco in mezzo alla neve, diretta ai confini dei terreni del castello. Diretta verso l'unica persona che non mi riderà in faccia quando gli racconterò di queste mie sensazioni. O almeno, spero che non lo faccia.
I suoi occhi azzurri brillano di perplessità, quando apre la porta e trova me sulla soglia. Ha i capelli arruffati, la camicia mezza fuori dai pantaloni e le palpebre pesanti, e io non riesco a non domandarmi se per caso ho interrotto... qualcosa. Se c'è qualcuno con lui.
Ci fissiamo per lunghi istanti, in silenzio, e alla fine è lui a romperlo.
«Parkinson?!»
Sì, ecco. Non era brillante a scuola e, nonostante tutto, la situazione non è migliorata.
«Conosco il mio nome. Posso entrare?»
«Cos...? Ah, sì, sì, prego.» Si fa da parte e lo oltrepasso, entrando in un piccolo ingresso. C'è un solo mantello sull'attaccapanni, quello della divisa degli Auror, e un giaccone che non può essere che di Weasley. Sollevata che non abbia compagnia, mi affretto ad appendere anche il mio. Mi dico che il sollievo è tutto dovuto al fatto che, se ci fosse stata una donna, con lui, sarebbe stato più complicato spiegare il perché della mia visita.
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After Dark - A Dramione Story #Wattys 2019
أدب الهواةSorride e quel sorriso è come un coltello rovente che mi ribalta le viscere. Capisco in questo momento che sono perduto, senza ritorno, senza redenzione. Che tutto il resto della mia esistenza sarà votato a ottenere un altro sorriso come questo, da...