Capitolo 33.

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Salgo in macchina, allaccio la cintura e accendo il motore.
Automaticamente si accende la radio che fa iniziare una canzone a me sconosciuta.
Non ho voglia di mettere qualche brano della mia playlist che poi collegherò a questo momento di sconforto perciò quella che ascolto adesso mi va più che bene.
Desidero distrarmi, non mi va di tornare a casa e subire tutte le domande di mio zio relative ad Allyson, al night, a Lucas e chi ne ha più ne metta.
Mi reco perciò al mio locale preferito, l'Apotheke, situato in una strada sperduta di Chinatown.
Sono specializzati in cocktail ed e ciò di cui ho proprio bisogno ora, in più l'attesa non è mai lunga e posso sbronzarmi in tempi rapidi.
È costoso, forse troppo, ma adesso non mi importa.
Non ci vado da molto per via di tutti i casini con quel pezzo di merda e con i piani per salvare Ally ma nonostante ciò il posto è rimasto uguale.
Non appena entro un calore quasi familiare mi avvolge, ci ho passato molti giorni qui dentro a bere e scoparmi la prima che provava a flirtare con me, ne ho già la nausea.
Scaccio quella sensazione e mi siedo sul divano rosso soffice non molto distante dal bancone.

C'è poca gente, per mia fortuna. Alla fine è solamente mattina. Mi stupisco che sia aperto, solitamente apre per orari serali.

Il barista deve essere nuovo in quanto non l'ho mai visto prima, mi saluta allegramente proponendomi immediatamente la lista aggiornata dei drink.

Scelgo un Cuba Libre.

Attendo pochi minuti e poi mi viene servito in un bicchiere highball con ghiaccio e una fetta di lime.
Lo sorseggio lentamente gustandomi il sapore iniziale della coca-cola e poi il retrogusto del rum.

"Allora com'è? L'ho fatto bene?" Chiede il barman curioso di una mia risposta.

"Non c'è male"  Rispondo con strafottenza.

Una cosa che ho sempre odiato è dare soddisfazione a qualcuno, anche se ad essere sincero il cocktail è fatto abbastanza bene.

Si gira demoralizzato e serve altri clienti.

Finisco di berlo e lo sguardo mi cade sull'orologio appeso al muro accanto alle bottiglie di whiskey.
Sono solamente le 12 e io sono già in procinto di sfondarmi d'alcool.

Faccio segno al nuovo barista di servirmi qualcos altro, sta volta un Margarita.

"Non so prepararlo signore, qualcos'altro?"  Signore? Cazzo ho 21 anni, mica 40.

"Lavori qui e non sei in grado di preparami un fottuto margarita?" Dico a denti stretti roteando gli occhi al cielo.

Il ragazzetto diventa rosso in viso e in preda all'umiliazione inizia a sfogliare velocemente la lista dei drink per vederne la ricetta.

"Stai fermo te la dico io. Dai prendi 5/10 di tequila.
3/10 di triple sec. 2/10 succo di lime.
Devi metterlo nel sombrero e devi ricoprire i bordi con il sale".

Fa il tutto e mi porge ciò da me richiesto aggiungendo un ciotolina con delle patatine.
Mi scruta attentamente per vedere se è di mio gradimento e per non mandargli l'autostima sotto terra gli faccio un semplice gesto con il pollice come a digli che è buono in modo da levarmelo di torno.

Non è tanto più grande di me, ma ha il viso da bambino e mi stupisco di come abbiano fatto a prenderlo come barista. Questo posto è specializzato in cocktail e lui non è in grado di farmi un cazzo di Margarita.
Credo sia l'alcol a farmi alterare in questa maniera.

Salvata dalla strada - un destino a due facce.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora