Capitolo 13

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Si rese conto che si sarebbe dovuto smuovere da lì dopo un tempo indeterminato.
Barcollando sulle gambe, distrutto, si trascinò sul letto dove sprofondò di volto.
Non sapeva perché, ma dopo quella costrizione si era sentito così... così... stanco di qualcosa.

Stanco di provarci, forse?

D'altronde il castano una cosa da lui l'aveva ricevuta e senza neanche calcare troppo la dose di minacce.
Sentì di odiare quello stronzo umano cacciatore dal profondo del cuore. Aveva una voglia matta di dargli un bel calcio proprio lì, dove prima non era riuscito a dare.

Diede un pugnetto senza forza al materasso prima di mettersi sui gomiti e fissare la testata del letto per un poco, facendo defluire lontano dalla coscienza (per quel momento) i sentimenti di odio.
Non voleva rimuginarci su troppo.

Sapeva, o almeno aveva l'impressione, che Ariana l'avrebbe chiamata quel pomeriggio.
E far risaltare subito alla ragazza quanto il suo animo fosse in stato di odio non era proprio il massimo, anche perché lei l'avrebbe costretto a dire tutto. E lui non sarebbe riuscito a tenere la bocca chiusa per tanto, sotto le insistenze della compare.

Quando sentì le braccia dolergli per la posizione, si mise a sedere e si rimise la camicia con una strana lentezza, fissando l'indumento senza davvero vederlo. Oramai chiuderla era un gesto automatico e poteva rimanere nella propria bolla mentre lo faceva.

Dovette darsi uno schiaffetto sulla guancia per risvegliarsi dalla trance momentanea e si sedette alla finestra, fissando il delicato vento che sicuramente c'era là fuori.
Quella brezza piegava le piccole spighe verdi di quel grande campo con diverse ondulazioni e forza, parendo che stesse creando strane figure con senso al moro ignoto.

Quella vista, stranamente, lo rilassò e sorrise, con la coda che ondeggiava facendo grandi archi nell'aria. Le orecchie erano leggermente alzate, senza però essere all'erta.
Minuti dopo, tanti o pochi che fossero, il kitten sentì una morsa nel petto, all'altezza del cuore.

Ma non gli provocava paura perché sapeva cosa era. E poi quella presa non era una vera e propria “morsa”, ma più che altro un abbraccio delicato che toccava fin dentro l'animo.

Era il filo.

L'unico delicato appiglio che lo legava ancora ad Ariana e che permetteva ad entrambi di non impazzire. Come mai non ci avevano pensato subito?
Beh, l'importante (almeno per il moro) era stato il fatto che se ne fossero ricordati e neanche così tanto in là nel tempo.
Tese una mano avanti a sè e fece i gesti necessari per "accettare" di comunicare con il filo.

Subito sentì una valanga di pensieri investirlo in pieno nella mente. Avvertì la preoccupazione di Ariana per il fatto che comunque nessuno dei due sapeva dove era esattamente il moro e non c'era pallida idea per le loro teste per renderlo libero.
Thomas cercò di tranquillizzare la compare e trasmetterle più calma possibile, che per fortuna prima aveva recuperato perché altrimenti sarebbe stato scoperto subito.

La comunicazione con il filo non era fatta di vere parole, così facili da simulare per vere anche se erano false. La connessione era attraverso emozioni e sentimenti dalla radice, più difficili da occultare.
Occultare le emozioni dal profondo era una cosa difficile e c'erano pochi kittens esistenti al mondo che sapessero farlo alla perfezione. E loro, ovviamente, non erano tra questi.

Ariana aveva appena finito di “dire” all'altro come era andata in quegli ultimi due giorni di assenza, spiegando a fatica che il giorno prima con i piccoli avevano fatto un intenso allenamento e che con ciò non l'aveva “chiamato”.

Come i kittens riuscissero a comunicare pensieri così complessi solo con le emozioni era un mistero per qualunque umano e, quando questi ibridi si ponevano la domanda, non sapevano darne spiegazione neppure loro. Semplicemente ci riuscivano.

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