Capitolo 55

1.2K 59 21
                                        

Però non c'erano solo quei tre lutti da onorare e riuscire a superare piano piano.
C'era ben altro e questa volta era Jonathan a dover risolvere vecchi problemi.
Doveva risanare una ferita vecchia di più di 5 anni. Ma aveva paura. Paura del fallimento. Paura del rifiuto di collaborazione e l'impossibilità di risanare quella ferita.

D'altronde, con tutto quello capitato fra loro, poteva benissimo avercela ancora con lui dopo tutti quegli anni, maturando l'odio nel disprezzo di Jonathan che era andato un po' a scemare. Ancora le passate scelte altrui non gli andavano a genio, ma sapeva che vivere nel reciproco odio non era per nulla salutare o proficuo. Erano, sì, potenti da soli, ma insieme erano una forza della natura: due metà autonome, ma elementi di un unico meccanismo più grande.

Thomas dovette insistere quasi un'intera settimana prima che Jonathan, in una insolitamente fresca mattina di luglio, uscisse di casa vestito di tutto punto in nero, prendendo su i fiori che si era fatto recapitare il giorno prima. Thomas lo guardò dall'ingresso con un sorriso soddisfatto in volto, mentre si allontanava da casa sulla sua auto nera.

Si era preso almeno una mattina dal lavoro per fare quello e, quando lo aveva detto al fidanzato, quello si era fiondato su di lui e gli aveva schioccato un bacio fugace sulle labbra, mostrando un bel sorriso soddisfatto alle cameriere ignare (e che, intuendo non fossero fatti loro, non si misero a ficcanasare).

Jonathan pensò di averci messo troppo poco quando arrivò alla sua prima tappa e sperò di non fare un flop totale già da lì (anche se, secondo come gli sussurrava il suo pessimismo, c'erano alte probabilità). Sospirò mentre scendeva dall'auto e suonava al citofono del cancello. Una voce leggermente metallica per via dell'apparecchio chiese atonale: <Chi è?>

<Jonathan Right.>

Secondi di silenzio seguirono quella affermazione.

<La signorina Right non la aspettava, signor Right.> affermò la voce metallica, questa volta con una leggera inflessione di stupore.
<Lo so. Vorrei parlare lo stesso con lei, se è in casa.>

Ancora pochi istanti di silenzio dalla parte dell'apparecchio prima di decretare: <Attenda un momento> e chiudere la comunicazione, mettendo fine a quel leggero ronzio metallico che pervadeva l'aria attorno al castano quando la persona dall'altro lato rimaneva muta.

L'ansia dell'insuccesso lo resero praticamente subito inquieto, con gli occhi che guizzavano oltre il cancello in cerca di movimento dietro le finestre con le tende distese. Il piede batteva sul cemento del sottile "marciapiede" fuori dall'imponente casa, mentre si torturava le dita d'una mano in tasca; cercando di nascondere l'ansia.

Ormai il freddo Right aveva levato le tende, lasciando spazio al vecchio Right, l'originale, quello che esternava con naturalezza i sentimenti se non visto o davanti a chi riponeva molta fiducia.
Ad un certo punto il ronzio leggero riprese, subito sovrastato da una voce metallica che chiedeva lievemente stupita: <Jonathan Right?>

Era Emma, lo sapeva Jonathan: le riconosceva la voce, nonostante anni di quasi mutismo.
Alzò leggermente lo sguardo in alto, sicuro che lì fosse piazzata una piccola telecamera e rispose con un minimo di strafottenza: <In persona.>

<Che ci fai qui?> la voce era leggermente guardinga.
<Sono qua per un motivo ben preciso che vorrei dirti a tu per tu e non attraverso un citofono, Emmie.>
Concluse la sentenza apposta con quel soprannome, a provare inconfutabilmente che a parlare fosse un Jonathan diverso da quello a cui si era abituata e che la discussione c'entrasse con qualcosa legato al loro passato.

Quando sua sorella decretò: <Ok. Ora ti apro. Va fino alla porta d'ingresso.>, non poté decretare se aveva in parte dissipato i suoi dubbi o se avesse inteso quell'altro sottile messaggio.
Dovette aspettare neanche cinque secondi prima che davanti a lei si palesasse la sorella, coi capelli ramati raccolti in una semplice crocchia e con addosso una canottiera e dei neri, corti pantaloncini aderenti.

Il mio piccolettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora