Capitolo 19- Cinque figli adottivi

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L'una

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L'una . L'una era arrivata anche prima che me ne rendessi conto.

Mi appoggiai con la schiena al muro, aspettando che Nicholas uscisse, sentendomi abbastanza in tensione.

Avrei dovuto comportarmi normalmente, me ne rendevo conto... Eppure tutto in me stessa mi diceva che la situazione era da panico.

Panico perché il mio cervello continuava a tirarmi fuori immagini a mo' di figuracce gigantesche e si aggiungevano poi ipotesi orrende, tipo quella in cui, completamente a caso, il quaderno riprendesse a brillare improvvisamente, dicendomi nuovamente di confessarmi e che finisse nella stessa identica maniera di Max.

Avevo una paura tremenda che potesse accadere, solo l'idea mandava all'aria ogni speranza di divertimento o di allegria.

Presi un grosso respiro, cercando di mantenere una calma sia espressiva che interna, nonostante sia nell'una sia nell'altra ci fosse una gran tempesta ad infuriare.

Nicholas comparve dalla stanza dei lavoratori, con addosso una felpa viola accompagnata da un cappuccio e una zip che mostrava la canotta bianca al di sotto, dei jeans attillati di un grigio molto scuro e scarpe nere, lucide, con un ghirigoro argento ai lati esterni.

Accennò un sorriso, le mani cacciate nelle tasche della maglia.

-Affamata?- chiese con un tono lievemente retorico.

-Mi sembra ovvio- e insieme alla mia frase, saltò su il mio stomaco -Appunto- mi sarei stampata una mano in faccia da quanto si faceva sentire, diamine, la reazione la aveva fatta anche con Max, proprio non voleva starsene zitto -Dove mi porteresti a mangiare, quindi?- chiesi, mantenendo un tono calmo e pacato, affiancandolo.

-Una pizzeria qui vicino. Ti va'?-

-Idea niente male, capo- dissi scherzosa, mettendo la mano a livello tempia e facendo il gesto da militare.

Lo vidi trattenere una risata, emettendo un buffo verso divertito, una sorta di 'pff' sbarazzino che mi fece ridacchiare leggermente.

Girammo un po' prima di trovare la pizzeria desiderata, la quale aveva delle pareti di un luminoso color mango, con dei quadri raffiguranti dei violini e dei tavoli coperti da tovaglia bianca, decorati da note musicali e da segni che ricordavano degli spartiti.

Ogni tavolo sembrava voler continuare la melodia, formando uno zigzagare di linee continue che davano un effetto assolutamente fantastico.

-Ti piace la musica classica?- chiese lui, facendo poi un cenno all'uomo della cassa che subito ci fece sedere ad un tavolo, non troppo lontano da un lampadario a spirale.

-Abbastanza. Adoro ascoltare il pianoforte, a volte, soprattutto se piove. Sono più per la musica rock, però, la ascolto praticamente ogni minuto libero che ho, é come una dipendenza-

-Capisco- fece lui, scostando un ciuffo di capelli dagli occhiali.

-Tu invece?- domandai, subito dopo aver guardato un po' dappertutto.

Dopotutto lui odiava essere fissato, no? Non dovevo infastidirlo. Come non dovevo dire parolacce e bestemmiare, sinceramente era una vera propria gara mentale, anche perché linguaggio poco educato e insulti divini erano il mio pane quotidiano.

-A me piace molto. Avevo un amico, da piccolo. Suonava il violino, arpa e anche il pianoforte. Lui mi ha fatto appassionare-

-Ah, wow- asserii, prima di rendermi conto di un piccolo, piccolissimo dettaglio nella frase: stava parlando al passato.

-Avevi...?- chiesi dunque, abbastanza turbata.

Lui si oscurò leggermente in volto, per poi riprendersi, stringendosi nelle spalle e scuotendo il capo -Beh. Ora non so più esattamente dove sia. Lo ho perso di vista-

Dal suo tono, qualcosa mi disse che non era del tutto vero, ma capii al volo in fatto che doveva essere un argomento delicato, quindi preferii non fare domande al riguardo, cambiando presto il discorso.

-Ci vieni spesso, qui?-

Mi piaceva il clima di questo posto: vi era un chiacchierare non troppo alto, persone che sorridevano, bambini che indicavano le fotografie appese alle pareti, persone ben vestite, ma non in maniera esagerata, camerieri che facevano via vai servendo vino o chiedendo il parere del cibo...

Lui annuì - Questa pizzeria é gestita dal mio 'patrigno'. Cucinano bene e come posto in cui mangiare é molto calmo e piacevole.-

-Che tipo é lui?... Sempre se posso chiedere-

-Ah. Lui é- parve cercare una definizione precisa -Un uomo rigoroso, di buoni principi. Magari un po' troppo chiuso mentalmente in certe cose, ma una brava persona-

- Anche il mio per certi versi lo é... Non contando poi il fatto che odia così tanto le bugie da risultare ossessivo e non avere peli sulla lingua-

-É un bene o un male in questo caso?-

-Entrambe- mi grattai la testa - Non si fa scrupoli a pignolare su ogni più piccolo dettaglio, tanto che ha detto su ad una cassiera per quasi mezz'ora- agitai leggermente la mano, come per dire di lasciar perdere, soprattutto quando vidi la sua espressione parecchio irritata -La tua pizza preferita?- accavallai le gambe sotto il tavolo, appoggiando i gomiti e sorreggendo la testa.

-Prosciutto e funghi. La tua?-

-Quella patatine fritte e würstel-

-Non male. Hai intenzione di ordinare quella?-

Annuii e lui, facendo subito un gesto rapido ad uno dei camerieri, lo portò ad avvicinarsi e a raccogliere le ordinazioni.

Era un ragazzino sui quattordici anni, smilzo, capelli di un color beige seguiti da delle piume e quelle che sembravano delle rotelle, lentiggini ed occhi decisamente molto grossi di un verde speranza.

Le sue braccia erano entrambe di metallo ed indossava un grembiule con su scritto 'tomatoes' in un giallo fosforescente.

Appena si girò per allontanarsi con le nostre ordinazioni, mostrò una coda simile a quella di un cane, solo coperta da meccanismi, metallo e ferro.

- Lui é un altro dei figliastri del mio patrigno. In totale siamo tre maschi e due femmine, tutti adottati- fece Nicholas, prendendo gli occhiali e cercando una salvietta per pulirli: forse li giudicava appannati, sinceramente non lo sapevo, a me sembravano abbastanza puliti.

Una serie di domande presero a ruotarmi nella testa.

Cinque figli adottivi? Non erano un po' tanti?

Forse capì la mia confusione, difatti riprese a parlare -Il mio patrigno é un prete. Ci ha adottati siccome nel nostro orfanotrofio rimanevamo solo noi... - si fermò -E dopo ti porterò nella chiesa... O puntualizzando, una stanza della chiesa che si attacca a dove dormivamo-

"Oddio... Io e le chiese non abbiamo mai avuto un buon rapporto... Spero di non prendere fuoco all'entrata"

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