•Capitolo ventinove•

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Due settimane. Erano passate due settimane da quando Filippo aveva affrontato la sfida e ne era uscito vincitore.
Era passato tutto così velocemente.
In queste settimane il mio inedito aveva spaccato sempre di più e avevo vinto la gara di inediti contro Carmen. Ero davvero soddisfatta.

Il pomeridiano si faceva sempre più difficile e il prossimo sabato sarebbero già iniziate le selezioni per il serale, ed io ero agitata più che mai. L'ansia come sempre.
Ero fuori dall'hotel e stavo parlando con Mose, era davvero un bravo ragazzo e adoravo i suoi strani discorsi.
«Ne vuoi una?» mi chiese prendendo il pacchetto di sigarette dalla sua tasca e avviccinandomelo. Abbassai lo sguardo e dopo pochi secondi ne presi una.

La misi tra le labbra e Mose si avvicinò per accendermela.
«So accenderla, tranquillo» dissi ridacchiando, vedendolo in quel momento impacciato.
«Ah si, tieni» rise nervoso, dandomi l'accendino. Accesi la sigaretta e guardai davanti a me.
«Beh dove andrai a Pasqua?» mi domandò guardandomi.
«Boh. Ma credo di ritornare a casa» risposi, guardando Filippo che rideva e scherzava con gli altri ragazzi senza degnarmi di uno sguardo, come questo ultimo periodo.

In pubblico non mi calcolava nemmeno e mi dava estremamente fastidio, sembrava si vergognasse di me.
«Ah bene dai tuoi, pensavo la passassi con Irama» affermò guardandomi ancora.
«Perché dovrei?» risi buttando fuori il fumo e guardando ancora il mio ragazzo. Mi faceva ancora un sacco strano chiamarlo così.
«State insieme, no? E immagino tutte le porcate che farete insieme a pasquetta» esclamò ridendo ma con un tono leggermente amareggiato.

«Smettila. E poi perché proprio Pasquetta?» domandai non smettendo di ridere e dandogli un leggero schiaffo sul braccio.
«Beh perché così, di solito si passa in campagna e...» lasciò in sospeso la frase facendomi ridere ancora di più.
Mi faceva divertire tantissimo quel ragazzo.
Sentì un braccio sopra le mie spalle e smisi subito di ridere. Mi voltai e vidi Filippo che mi guardava serio ed impassibile.

Cercai di nascondere la sigaretta, ma subito me la prese tra le mani e la buttò a terra.
«Di cosa ridete ragazzi?» domandò accennando un sorriso più che finto rivolto a Mose, stringendomi ancora più forte.
«Nulla, stavamo scherzando» rispose Mose messo in soggezione da Filippo. Che stronzo!
Prima non mi calcolava di striscio e poi si permetteva anche di fare il geloso.
«Mh e di cosa?» domandò ancora, riducendo i suoi occhi a due piccole fessure.
«Finiscila, Fil» dissi cercando di liberarmi dal suo braccio ma fu tutto inutile, mi stringeva troppo forte.

«È meglio che me ne vada» disse Mose, cercando di evitare una lite.
«Già è meglio» pronunciò Filippo, guardandolo.
«Ci vediamo domani, Sara» continuò andandosene.
«Domani un cazzo, coglione» ribatté ancora, urlando per farsi sentire. Magari il coglione lo era lui.
Mi tolsi il suo braccio dalle spalle e lo guardai infuriata più che mai. Mi prese il polso, stringendomelo forte e portandomi all'interno dell'hotel per poi salire le scale per le nostre stanze.
«Lasciami» mi divincolai ma era tutto inutile.

Entrammo dentro la sua stanza e chiuse la porta.
«Che cazzo fai eh?» gli urlai contro andandogli vicino. Ormai litigavamo in continuazione e non lo sopportavo più.
«Ah io? Che cazzo fai tu?» gridò lui prendendomi per il braccio e stringendomelo forte, gemetti dal dolore.
«Ti avevo detto che non dovevi fumare» continuò.
«E io ti avevo detto che non prendo ordini da te» gli dissi liberandomi dalla sua presa salda, massaggiandomi il braccio.
Cambiò subito espressione, gli occhi gli si iniettarono di sangue e mi fece rabbrividire.
Le braccia mi ricaddero sui fianchi e lo guardai spaventata. Si avvicinò sempre di più verso di me ed io indietreggiai finché la mia schiena andò a sbattere contro il muro.

«Perché eri con quello?» domandò a denti stretti.
«Perché mi sono rotta il cazzo, ogni volta fai finta che io non esisti, che noi due non stessimo insieme e io ci sto male porca puttana» gli risposi, vedendo di poco cambiare la sua espressione.
«Stai scherzando spero»
«No, Filippo, sono seria, quando siamo con gli altri non mi calcoli minimamente e poi ti lamenti se io parlo con altri ragazzi. Se stiamo insieme lo siamo anche in pubblico»
«Ma che te ne fotte? L'importante è che lo sappiamo noi» affermò deciso, spalancando le braccia.

«Ma che ragionamenti fai? Pensi che io non abbia bisogno anche di te quando sono lì fuori?» domandai indicando la porta.
«Devi imparare a cavartela anche da sola, non ci sarò sempre io a pararti il culo» quella frase mi aveva ferita davvero tanto. Come sempre d'altronde. Ogni volta trovava sempre il modo per ferirmi e piano piano mi stava distruggendo. Ma ormai mi aveva fregata in tutti i sensi ed erano passate solo due settimane. Non riuscivo a pensare di poterlo lasciare ne tantomeno riuscivo a pensare a lui con un'altra ragazza o me con un altro.

«Davvero pensi che abbia bisogno solamente di questo io?» gli domandai con gli occhi ormai colmi di lacrime. Faceva male tutto questo, tanto male.
«Cosa cazzo vuoi che ti dia, Sara? Vuoi troppo da me e sai benissimo che non posso darti di più» gridò di rimando.
«No, Filippo, tu puoi darmi ciò che voglio ma il problema reale è che tu non vuoi, perché sei ancora fottutamente ancorato al tuo passato e io per te mi sto annullando, distruggendo completamente. Ma tu cosa fai per me? Niente assolutamente niente. Te ne stai lì sparando cazzate, e te ne fotti di me e di ciò che realmente voglio. E io perdo ancora tempo con te perché la verità è che in fondo m'importa sia di te che di me» urlai con la voce strozzata e le lacrime che ormai bagnavano il mio viso.

Mi guardò e in quel momento la porta si aprì ed entrarono Simone ed Einar che quando mi notarono con gli occhi rossi e il viso bagnato, subito guardarono Filippo. Mi feci spazio tra i due per poi uscire dalla stanza. Sentì un colpo enorme sul muro.
Entrai nella mia stanza e mi buttai sul mio letto.
«Merda, Sara, che cazzo è successo?» chiese Carmen allarmata venendo accanto al mio letto.
«È stato Filippo vero?» domandò questa volta Emma. Ormai sapevano tutto. Sapevano di quanto era complicato lui e di quanto era malata la nostra relazione.

«Vieni qua» disse Nicole aprendomi le braccia, mi ci buttai tra di esse ringraziandole per esserci sempre.
Alla fine andava sempre così, noi che litigavamo, io che piangevo e le ragazze che mi consolavano e poi il giorno dopo lui mi cercava e io lo perdonavo, era un circolo vizioso che mi stava annientando, stavo cadendo a pezzi. Per colpa sua.

Voglio solo te//Irama//Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora