TRENTATRE

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RIMEDI FATATI

Mi siedo a gambe incrociate sul tappeto beige del salotto

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Mi siedo a gambe incrociate sul tappeto beige del salotto. Lancio uno sguardo a mamma e papà seduti sul divano. Sposto lo sguardo sul braccio di papà che circonda le spalle di mamma. Osservo le dita pallide di mia madre che si intrecciano a quelle di papà. Mamma mi rivolge un sorriso rassicurante e, mentre lo fa, strizza entrambi gli occhi. La fa sembrare molto più giovane quando lo fa. Restituisco il sorriso e mi volto verso la TV. Ne osservo lo schermo scuro su cui si fa largo una scritta argentata. Allungo le mani verso la ciotola dei popcorn e la poso sulle gambe.
<< Che ingorda! >>, esclama una voce al mio fianco. Giro il viso verso quella direzione. Mio fratello mi sorride sornione e piega le gambe al petto.
<< Sta zitto, mangia caccole! >>, urlo lanciandogli un popcorn che lui afferra al volo. Mastica con quel sorriso fastidioso.
<< Mangia caccole? Ma che insulto é, pel di carota? >>
Allunga una mano e mi scompiglia i capelli. Gli lancio uno sguardo di traverso e soffio via una ciocca di capelli dal viso. Lui scoppia in una risata fragorosa. Una risata che gli tinge le guance di rosa e gli fa poggiare la testa al divano.
<< Quanto sei buffa! >>, esclama tra una risata e l'altra. Gonfiando le guance, mi volto verso la finestra. Il vetro riflette il mio volto infantile. Osservo le mie guance paffute e rosse, il mio naso lentigginoso e i miei capelli rossi. Ingurgito un'altra mangiata di popcorn.
<< Jason, lascia stare tua sorella >>, lo ammonisce la voce roca di papà. Lancio a quella figura robusta uno sguardo da sopra la spalla. Lui, in risposta, mi strizza l'occhio e indica lo schermo con il mento. Mi volto verso la televisione. Sullo schermo appare il titolo del film. Mi porto alla bocca un'altra manciata di popcorn e lancio uno sguardo a mio fratello. Lui mi guarda pensieroso. Chissà a cosa sta pensando? Chissà quale scherzo sta pianificando.
Gli sorrido mostrando i denti. Le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso che gli fa espandere le poche e chiare lentiggini che ha sul naso. Rivolge lo sguardo alla TV e sussurra un :<< Qualunque cosa accade ricorda che ti voglio bene, mocciosa >>.
Aspetto che sulle sue labbra compari il solito sorriso birichino, invece ha un tono serio e alle parole non si aggiunge nessun sorriso. Sposto lo sguardo sulla ciotola di vetro. Aggrotto le sopracciglia, confusa, e prendo altri popcorn. Rivolgo di nuovo lo sguardo al film, ma le parole del protagonista vengono coperte dal rumore di vetri in frantumi. Nella stanza inizia a veleggiare un puzzo di decomposizione. Sulla mia lingua si posa un sapore ferroso, come di sangue. L'unica cosa che riesco a fare prima che mio fratello mi prendi in braccio é urlare.

Urlo anche nella realtà.
Mi sveglio di soprassalto e annaspo in cerca d'aria. Delle mani sbucano dalle tenebre che mi circondano e mi afferrano per le spalle, tenendomi ferma contro i cuscini. Sbarro gli occhi, scioccata. La stanza é troppo buia perché possa vedere il viso del mio aggressore, ma il dolce sapore di fiori e terra umida mi dà un indizio su chi possa essere. Poso le mani sul suo petto e cerco di togliermelo di dosso, ma più lo allontano da me e più lui salda la presa sulle mie spalle. Sbuffo e, con tutta la forza che ho, lo butto di lato. La sua caduta viene seguita da un tonfo e un imprecazione in una lingua antica. Passo il dorso della mano sulla fronte sudata. Con un secondo sbuffo, mi alzo dal letto e mi dirigo a tentoni verso l'interruttore. La luce illumina la piccola camera da letto e la figura che siede a terra davanti all'armadio. Alzo gli occhi al cielo e incrocio le mani al petto.
<< Che diavolo stavi facendo? >> Ho la bocca asciutta a causa delle urla. Mi sento la gola come se ci avessero passato sopra della carta vetrata. Bleah!
<< Sembrava che ti stessero sventrando viva da come urlavi! >>, esclama massaggiandosi la nuca.
<< Sì, okay, ma questo non giustifica la tua aggressione >>, ribatto saldando la presa sulle braccia. Sposto il peso da un piede all'altro, infastidita.
<< Aggressione? Sei tu quella che mi ha buttato giù da un letto >>. Posa una mano sul bordo del letto e si alza in piedi. Si massaggia ancora la nuca, credo che mi stia maledicendo mentalmente.
<< Non riuscivo a respirare >>, mi giustifico.
Lui mi lancia uno sguardo traverso. << Già, perché eri troppo occupata ad urlare come un ossessa >>,ribatte torvo. << Mi hai fatto prendere un colpo. Pensavo che non ti stessi sentendo bene >>.
Aggrotto le sopracciglia e non posso evitare di essere sorpresa. Alec Stewart si é preso uno spaventato per me? Sento il mio cuore aumentare i battiti. Odio quando mostra anche la più minima traccia di sentimento. Lo fa sembrare umano, cosa che non é.
Alec si lascia cadere sul letto e posa i gomiti sulle cosce. I capelli scuri gli ricado sulla fronte, gli sfiorano gli occhi, ma lui non li scosta. Resta concentrato sul pavimento. Studia i listelli di legno senza spicciare parola. Abbasso le braccia e faccio un passo verso di lui. Infilo le mani nelle tasche del pigiama, non sapendo cosa fare.
<< Come stai? >>, si lascia sfuggire con la voce ridotta a poco più di un sussurro. Alzo le spalle, consapevole del fatto che lui non mi veda. Abbasso lo sguardo sul mio addome e con sorpresa noto che non c'è la più minima traccia di sangue o ferita. Non c'è la più minima traccia di cicatrici traslucide o di bozzi rossastri. C'è soltanto la mia pallida pelle attraversata da quelle minuscole macchioline arancioni che mi sono tanto familiari. Sfioro la pelle, credendo che tutto ciò sia solo un'illusione, ma quello che sfioro é soltanto la mia pelle liscia e gelida. Applico una lieve pressione con la punta delle dita, ma dalle mie labbra non sfugge nemmeno un sibilo di dolore. Guardo Alec a bocca aperta.
<< Ma come... >>, inizio a dire, ma sono troppo stupita per completare la frase. Premo di nuovo sull'addome, niente dolore. << Ma come hai fatto... >>. Lo fisso è lui alza lo sguardo su di me. << Un rimedio delle fate? >>, gli chiedo. Sulle mie labbra affiora un piccolo sorriso. Lui alza le spalle. Lo ignoro e mi volto verso lo specchio appeso dietro la porta. Non ci posso credere. Niente pelle umida di sangue. Niente rigonfiamenti. Niente cicatrici.
Questa non é la realtà!
Mi volto e cerco con lo sguardo la mia felpa grigia. Quando la individuo, mi avvicino ad Alec e allungo un braccio dietro di lui. Lui non alza lo sguardo su di me. Sembra che la botta presa durante la caduta lo abbia intontito. Mi infilo la felpa e mi siedo accanto a lui. Appena prima che possa dire qualcosa, lui apre bocca.
<< Bel pigiama >>, commenta facendo un cenno con il mento verso le mie gambe. Sulle sue labbra spunta un lieve sorriso divertito.
Okay, la botta alla testa non é servita a un granché.
Abbasso lo sguardo sul pantalone del pigiama. Ammetto che nemmeno io vado fiera dei miei pantaloni viola con degli orsi stampati sopra. Per non parlare della felpa che riporta la scritta "ABBRACCIAMI" sul seno. Ma comunque non voglio sentire dei commenti sarcastici.
Gli lancio uno sguardo di traverso. << Simpatico >>, commento apatica. Lui si raddrizza e il suo sorriso si allarga. Alzo gli occhi al cielo. Che fata arrogante!
Mi alzo dal letto e mi sposto verso la finestra. Fuori il cielo si sta rapidamente tingendo di rosa. Mi sento ancora intontita per il sogno. Non riesco a scrollarmi via quei pochi frammenti che mi sono rimasti incollati addosso. Sento il cervello che riformula l'ultima frase di mio fratello. Ancora oggi non riesco a capire cosa voleva dire. " Lui sapeva che stava per morire?"
Scuoto la testa. "Impossibile". Incrocio le braccia al petto. " E allora cosa intendeva dire?"
Sento le molle cigolare quando Alec si alza dal letto.  La fata mi si avvicina e si ferma dietro di me. Mi posa una mano sulla spalla, fa incastrare alla perfezione i suoi polpastrelli con la mia clavicola. Premo forte le palpebre per non cedere ai ricordi. Mi scrollo la sua mano di dosso e mi siedo sulla panca, stringo le gambe al petto e continuo a guardare fuori, inespressiva. Osservo le case dei vicini che sono ancora silenziose. Guardo le loro stanze buie e sonnolente. Poggio la testa al muro e resto lì a guardare le prime luci dell'alba che gettano strane ombre sul giardino sottostante. Inconsapevolmente, mi porto la mano alla base del collo. Cerco con le dita il ciondolo intagliato, ma non lo trovo. Traccio la circonferenza del collo alla ricerca della catenina, ma niente. L'avrò perso durante lo scontro e come un'idiota me ne accorgo solo ora. Sposto lo sguardo su Alec seduto di fronte a me. C'è una parte di me che crede che lui non sia qui solo perché io ho subito uno scontro. Una parte di me crede che è successo qualcosa. L'altra parte,quella che più odio, si bea della sua presenza.
<< Come va all'Istituto? >>, gli chiedo cingendo le gambe con le braccia. Lui abbassa lo sguardo sulle sue gambe. Scocchia le dita e non osa alzare lo sguardo su di me. Le fate non sanno mentire, ma sanno benissimo come evitare una domanda. Una forma più elegante di mentire.
<< Alec >>, lo richiamo. Lui tira su una gamba e accosta la testa al vetro. Osservo i suoi occhi verdi che scrutano l'orizzonte. << Benissimo >>, sussurra.
Alzo gli occhi al cielo. Ecco un'altra cosa che mi irrita delle fate: devi sempre specificare ogni domanda.
<< Grandioso, ma io intendevo se era successo qualcosa >>.
Lui sposta lo sguardo su di me. Fa un profondo respiro e infine sussurra :<< C'è stato un altro attacco >>.

BUON NATALE!

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