DUE

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UN' OMBRA CHE MI SEGUE

Scendo di corsa le scale che portano al primo piano, il balestrino che sbatte contro il fianco destro

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Scendo di corsa le scale che portano al primo piano, il balestrino che sbatte contro il fianco destro. Le dita impegnate a fare una treccia. Salto gli ultimi due gradini e lego la treccia con un elastico nero.

Il piano é avvolto nel buio e nel silenzio. Davanti a me si apre un lungo corridoio buio, ai miei lati é la medesima situazione con un corridoio buio su ogni lato. Avanzo nell' oscurità facendo meno rumore possibile. I listelli di legno del parquet scricchiolano ad ogni mio passo producendo un suono che mi fa rizzare i peli delle braccia. Scenari di film horror mi si parano davanti mentre avanzo nel corridoio davanti a me. "Andiamo Clary, non é il momento di farsi prendere dal panico", penso tirando le maniche della felpa sui dorsi delle mani. "Dopotutto, sei una cacciatrice di fate, hai un' arma che ti penzola sui fianchi e sai combattere. Qualunque assassino tu possa incontrare, ricorderà questa serata come una delle peggiori della sua vita per poi andarsene mentre gocciola sangue dall' addome ", penso stringendo le mani a pugno, per sembrare una dura. Ma non penso che, una nana di diciassette anni con una felpa enorme che le arriva a metà coscia e un viso dai tratti angelici, possa far paura ad un serial killer. Credo che non riuscirei nemmeno a far paura ad una formica. Apro le mani e scrocchio le dita, per poi infilarle nelle tasche del parka. Sto per girare l'angolo quando delle voci mi raggiungono. Un velo di sudore mi copre la fronte.

"Chi può mai star sveglio a quest'ora?" , penso mentre mi alzo il cappuccio sulla testa. Mi volto e mi nascondo in una rientranza nel muro. Attendo un paio di secondi prima che due ragazzi passano davanti al mio nascondiglio. Due ragazzi a me conosciuti.
<< Sono sicura che non vada così il film. >>, stava dicendo la ragazza dai lunghi capelli castani.
<< Meg, credimi é che così che finisce. >>, dice il ragazzo dai corti capelli biondi.
<< Mi dispiace, Wate, ma hai torto. Il film non finisce così. >>, ribatte la ragazza. Ethan, il ragazzo biondo, le sorride mentre le posa un braccio intorno alle spalle. Mi chiedo di cosa stanno parlando, visto che qui all'Istituto ogni apparecchio elettronico é vietato, quindi é impossibile che abbiano visto un film. Ma poi, mi rendo conto che la ragazza in questione é Meghan Price, la ragazza che attira i guai come una calamita. Chissà che hanno combinato. Nel frattempo, i ragazzi sono arrivati ai piedi della scalinata. Sono uno di fronte all'altra e si sorridono a vicenda. Mi sto per chiedere cosa mi stiano nascondendo, quando Ethan si sporge verso di lei e la bacia. Sorpresa, non stacco lo sguardo da quella scena. Quando si staccano, Meghan sorride e intravedo un leggero rossore sulle sue guance. " E così, il timido Ethan ha rapito il cuore della dura Meghan", penso mentre sorrido anch'io. Li guardo scambiarsi alcune parole e poi la ragazza si avvia verso il corridoio alla sua destra. Ethan resta per un po' imbambolato mentre osserva la ragazza andare via. Approfittando di quella distrazione, esco dal mio nascondiglio senza far rumore e procedo nel corridoio.

Salto gli ultimi gradini della scalinata dell'ingresso. Lascio che il vento mi tolga il cappuccio da sopra la testa e che mi accarezzi le guance pallide. Metto le mani nelle tasche e faccio alcuni passi sull'erba bagnata, del cortile davanti all'ingresso del dormitorio femminile. Inspiro l'odore della terra bagnata, rilassando i muscoli. Mando indietro la testa, mentre avanzo verso l'oscurità del bosco. Uno scricchiolio mi fa distrarre dai miei pensieri. Abbasso lo sguardo e porto l'attenzione alle mie spalle. Porto gli occhi sull'imponente edificio che é il dormitorio femminile, sulle finestre buio e l'ingresso vuoto. Ruoto su me stessa, quando una serie di scricchiolii avanzano verso di me. Punto lo sguardo ai margini del bosco. Un'ombra é ferma lì e si differenzia dalle ombre che gettano gli alberi per la sua forma umanoide. Faccio passo verso il bosco, senza staccare lo sguardo da quella figura. L'essere fa un passo verso di me, seguendomi. Sento il cuore iniziare a pomparmi veloce nel petto.
E poi lo sento: l'intenso sapore del suo potere. Il sapore del potere di una fata, ancora sconosciuta, mi pervade, riempiendo quel sacco vuoto che sono. Sorrido. Porto una mano sotto alla felpa. Stacco il balestrino dai passanti del pantalone e faccio passare la mano all'interno del laccio, legando l'arma al polso.
Avvolgo l'impugnatura di metallo e stringo le dita.
" La mia prossima vittima.", penso facendo scivolare il suo potere dentro di me. Mi addentro nel bosco, scomparendo nelle tenebre. Tendo le orecchie, stando bene attenta ai rumore. Poso cauta i piedi sul terreno, schiacciando meno foglie possibili. "La fata mi darà la caccia finché non troverà un luogo più "appropriato". Un luogo più appropriato ad uccidermi."

Mi calco il cappuccio in testa, nascondendo i ciuffi ramati che solo sfuggiti dalla treccia. Mi concentro sul rapido battito del mio cuore, senza smettere di ascoltare i leggeri passi della fata che avanzano.
" Per lei questo altro non è che una battuta di caccia. Io sono la preda e lei il predatore. Ma, si sbaglia di grosso." Alzo il mento, scrutando le ombre che si celano dietro il fogliame autunnale degli alberi. Sono circondata dal buio. Un impenetrabile sfondo nero che occupa tutta la mia visuale. I profilo di alcuni alberi é marcato dal pallore di alcuni raggi lunari. Le foglie, non più marroni o arancioni, risplendono di quella luce pallida. Sembra un disegno fatto su un cartoncino nero, i cui profili degli oggetti sono tracciati dalla punta di un gessetto bianco. Sento le mani prudermi, per il bisogno di stringere le dita attorno ad una matita per poi iniziare ad estraniarmi dl mondo e dai suoi problemi. Mi sto subito pentendo di non aver portato il mio blocco. Sto per voltarmi, decidendo di ritornare in camera, quando vengo di nuovo investita da quel sapore. Alzo la testa, sentendo il cervello leggero come se fossi sotto uso di droghe, e mi godo quella sensazione che avvolge tutto il mio corpo come una coperta calda. Mille sapori prendono possesso della mia bocca, alcuni sapori sono indescrivibili mentre altri dolci come miele. Chiudo gli occhi, immaginandomi di correre a piedi nudi nel bosco, il vento che mi scioglie la treccia e mi sfiora la pelle pallida, i piedi che calpestano il terriccio morbido. Un sapore salato mi scivola in bocca, mischiandosi a quelli precedenti. Ricordi di una me più piccola mentre nuota in una distesa azzurra mi appaiono davanti agli occhi. Il sorriso che mi increspava le labbra, facendo espandere le lentiggini che mi decorano gli zigomi e la parte superiore del naso, le onde che mi spingono verso la spiaggia, verso una donna dai miei stessi capelli ramati e dal mio stesso sorriso. "Mamma", penso mentre una lacrima solitaria mi scivola lungo la guancia. Sento ancora l'acqua che mi vortica attorno alle gambe, quando apro gli occhi e, con fare distratto, mi asciugo la guancia. Tiro su col naso, liberandomi di quei ricordi e richiudendoli in quella scatola nera che si trova nel mio cervello.

Mi concentro sui sapori che mi scivolano ancora in bocca, confondendo le mie papille gustative. "Ho già sentito questo sapore, e ho già subito questa sensazione di stordimento" , penso scrutando il buio tra gli alberi che mi circondano. "Ho già incontrato questa fata" Prima che il sapore si intensifichi, inizio a correre tra gli alberi. Ho il respiro affannato. La fata mi segue, silenziosa, continuando a tenere il mio ritmo. Con un sorriso, svolto a destra inoltrandomi in una parte ancora più buia. Non vedo e non sento nulla tranne il ritmo veloce del mio battito cardiaco, a causa della mia corsa, ma questo é irrilevante. So dove sto andando, anche se ci sono stata un volta e da quella volta sono passate due settimane. Mi lascio guidare dal cervello e dalla mia memoria, anche se di quest'ultima mi fido poco. Sfreccio tra gli alberi, ignorando le piante e i rami rinsecchiti che mi afferrano i capelli o le maniche del parka. Ignoro il rumore delle numerose foglie secche che sto calpestando. Salto, per evitare che cado su una pietra che sbuca del terreno. L'odore del terriccio umido si insinua nelle narici. I rami sfiorano le cinque ferite che ho sulla guancia destra, sento che ad alcune viene portata va una crosta e sento qualcosa di umido che mi scivola sulla guancia, ma non rallento per vedere cosa é successo. Conto i miei passi finché raggiungo un pezzo di tronco che é crollato sul terreno: uno...due...tre...quattro...cinque... poso i palmi delle mani sulla corteggia ruvida del tronco e stacco i piedi dal terreno solo per portarli oltre la mia base di appoggio. Stacco le mani e cado a terra. Rotolo sul terreno, sporcandomi la faccia di terra. Una volta posata la schiena a terra, resto lì e aspetto.

Una decina di battiti cardiaci dopo, un'ombra salta sul tronco. Non gli do il tempo di scendere che alzo la balestra e gliela punto contro.
"Ti ho beccato Stewart"

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