{ sεcοnδα sτοrια }
Cuore di pietra.
Volontà di ferro.
Lei é l'ultima Falconiera .
La piccola e giovane Clarissa ha vissuto di tutto. Ha visto cose orribili in ogni angolo. Cose che nessun essere umano dovrebbe vedere. É sopravvissuta ad ogni sera...
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Ethan non mi crede, l'ha lasciato intuire. Se n'è andato senza aggiungere niente, senza dire niente. Meghan oltre a non parlarmi non vuole proprio stare nella stessa stanza con me, é confusa oppure, l'ipotesi più semplice, ha paura. Alec non vuole parlarmi né vedermi, come biasimarlo. L'ho usato per capire almeno una parte di quello che sono. Gli ho estorto la verità in ogni modo possibile.
Prendo un altro sasso. Passo le dita sulla sua superficie liscia e ben modellata. Lo soppesso nel palmo della mano, studiando la sua forma ovoidale. Lo lancio con un verso di frustrazione. Il sasso sfiora la superficie argentea del lago per poi, clomp... Tuffarsi in acqua e affondare velocemente.
Mi sono ritrovata di nuovo nello stesso problema. Sono di nuovo accusata di qualcosa che non ho fatto. Di nuovo alcune persone vengono uccise. Sempre nello stesso modo. E io, non riesco ad evitarlo.
Senza avere il tempo di pensare, mi chino prendo un altro sasso e lo lancio. Stavolta perfora l'acqua senza sfiorala. Non contenta ne prendo un altro. Lo lancio, un gemito di frustrazione che riecheggia nel bosco. Il sasso affonda nella profondità del lago. Abbasso la testa sul terreno umido. Punto lo sguardo sulle scarpe infangate, i lacci che escono da sotto la linguetta per riversarsi sul terreno.
Appena mi sono stancata delle occhiate furtive che mi lanciavano in mensa sono corsa fuori. Stavo per avviarmi verso il bosco, ma il dottor Morris mi ha fermata. Mi ha costretta a seguirlo nel suo ufficio e a sedermi sulla poltroncina in pelle nera. Ha detto che ha sentito le voci che circolano su di me. Prima non credevano che fossero vere, che una ragazzina potesse uccidere con una tale violenza. Ma, poi, ha dato un'occhiata al mio fascicolo e ha letto degli omicidi. Dei corpi ritrovati senza cuore. Delle loro vita strappata dal loro corpo. Era incredulo, confuso e incredibilmente disgustato. Mi ha chiesto varie volte il perché. Non sapevo cosa dire, non sapevo come spiegare quella brutalità. Volevo urlare che quella non era opera mia, ma chi mi avrebbe creduto. Così, mi sono limitata a stare buona e a sprofondare nella poltrona. Guardavo oltre le spalle larghe dello psichiatra. Guardavo fuori dall'immensa finestra il tetto a spiovente dell'edificio. Osservavo, senza alcuna emozione, il cielo tingersi di un grigio scuro. Non so per quanto tempo sono stata seduta lì, ma so soltanto che quando mi sono precipitata fuori stava già piovendo a dirotto. In una mano tenevo strette le pillole che mi aveva dato il dottor Morris facendogli promettere che ne avrei presa una subito dopo il nostro incontro.
Lancio uno sguardo al flaconcino arancione che é riverso sul terreno. Lo prendo e osservo i caratteri cubitali che formano il nome del farmaco. Con un sospiro tolgo il tappo bianco. Lancio uno sguardo alle minuscole pillole color rosa confetto. Un colore dolce per un medicinale orribile. Inclino il flacone e guardo le pillole scivolare e tuffarsi nell'acqua gelida del lago. Le guardo sciogliersi appena toccano l'acqua. Increspo le labbra in un sorriso. Se devo prendere la fata che sta facendo tutto questo casino devo essere lucida. So di non essere pazza. Sono sicura di quello che vedo e che sento. Non sono pazza. Non ho bisogno di farmaci. Con un ennesimo verso di frustrazione scaglio il flacone il più lontano possibile.