{ sεcοnδα sτοrια }
Cuore di pietra.
Volontà di ferro.
Lei é l'ultima Falconiera .
La piccola e giovane Clarissa ha vissuto di tutto. Ha visto cose orribili in ogni angolo. Cose che nessun essere umano dovrebbe vedere. É sopravvissuta ad ogni sera...
Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Con una capriola, atterro poco prima che il redcap cada di faccia nel lago. Osservo quella mostruosa creatura che collassa nelle acque limpide. Passo il dorso della mano sulla fronte. Qualche goccia di sangue mi macchia la pelle lentigginosa. Afferro una delle bombe al seilgflùr che porto nella scatola attaccata alla cintura. Premo i pulsanti sulla calotta e gliela butto addosso prima che quell'essere possa riprendere conoscenza. Scatto verso l'albero più vicino, nella corsa afferro il martello da guerra della fata. Mi nascondo dietro il tronco di un pino e premo le mani sulle orecchie. L'esplosione é più forte del previsto. Mi affaccio da dietro il tronco e osservo l'enorme bolla d'acqua che si crea nel lago a causa dell'esplosione. Gli schizzi d'acqua si mischiano agli schizzi di sangue. Le membra del redcap iniziano a galleggiare sulla superficie del lago. La Dama Verde guarda stoica la scena, le sue mani permute sulle orecchie. Esco dal mio nascondiglio e mi dirigo verso di lei, pronta ad ucciderla. Stringo le dita intorno al manico del martello e compio un primo passo verso la sua posizione. Il lieve ronzio delle orecchie pian piano si attenua e riesco a sentire un ringhio da dietro le mie spalle. Mi volto e due esemplari di redcap mi ringhiano in faccia. La puzza di decomposizione che emana il loro alito mi fa rivoltare lo stomaco. Arriccio il naso e sventolo una mano davmti ad esso. << Wow, dovete proprio mangiare una mentina voi due >>, ribatto. Uno dei redcap, il più piccolo, mi ringhia di nuovo contro. I filamenti di saliva mi sfiorano di poco il viso. Una smorfia di disgusto mi deforma il viso. << Okay, facciamo tutta la fabbrica di mentine >>. L'esemplare più grande ringhia di nuovo e il suo martello da guerra si scaglia su di me. Mi chino a terra. Il martello rotea sopra la mia testa. Ascolto il sibilo del metallo che rotea rapidamente. La fata sogghigna, un verso profondo, riecheggiante. Alzo lo sguardo su quella creatura massiccia che torreggia su di me. Un ghigno mi si dipinge sul viso. Mi alzo molto lentamente, soppesando la mia pesante arma nella mano. Osservo la maschera fatta di ossa che gli copre la parte alta del naso. Attraverso le cavità oculari scorgo uno sguardo feroce. Lo sguardo che ho sempre visto nelle fate che uccido. Pianto i piedi a terra e piego di poco le ginocchia. Il redcap mi assale. Fa roteare di nuovo il martello, nelle sue mani sembra una piuma. Chino la testa e il martello mi sfiora la nuca. Appena la fata fa un passo in avanti, le assesto un colpo con il martello sul retro del ginocchio. La gamba cede e la fata crolla al suolo perdendo la presa sul suo martello. Mi rimetto dritta, i suoi occhi sono alla stessa altezza dei miei. Osservo quella densa sostanza cremisi che le bagna le cavità oculari della maschera. Contraggo la mascella e stringo la presa sul martello. Il redcap ringhia e cerca di colpirmi, ma sferra un inutile pugno all'aria. Prima che la fata massiccia possa mettermi al tappeto, il redcap più piccolo mi afferra per un braccio. Cerco di tenere salda la presa sul martello, ma questo mi scivola e cade al suolo con un sonoro tonfo. Agito i piedi, che ormai non toccano più il terreno. Urlo insulti verso quella fata inutile. Il redcap mi gira verso di sé e sogghigna. Gli urlo in faccia, ma sembra non darmi importanza. Lancia uno sguardo alla fata che giace ancora al suolo, poi lancia uno sguardo verso di me. Prima che questo possa lanciarmi in aria, lancio uno sguardo al redcap più grosso. Quello sogghigna e cerca di prendere il suo martello. In breve tempo capisco cosa vogliono fare e ciò mi raggela. Porto la mano libera sul fianco destro. Quando la fata mi lancia sopra la sua testa giro su me stessa, compiendo una capriola. Osservo la fata spalancare la bocca, aspettando che vada al suo interno. Sul mio viso compare un grosso ghigno. Quando sono in caduta libera, schiaccio il pulsante sulla calotta della bomba e la lancio nella bocca della fata. Quando sto per cadere a terra, lo spostamento d'aria che provoca l'esplosione della bomba mi fa volare più in là. Atterro di schiena e le vertebre emettono l'ennesimo urlo di dolore. Il ronzio nelle orecchie ha ripreso. Osservo assente lo sprazzo di cielo stellato. Sorrido quando incontro quel disco argentato. Stasera c'è la luna piena. Ho sempre adorato la luna piena. Non ho un motivo ben preciso, mi piace e basta. Chiudo gli occhi e mi concentro sulle parti del corpo che non mi fanno male. Mi riesco a mettermi seduta al primo tentativo. Ruoto le scapole e le sento scocchiare. Scocchio anche il collo. Tutto il mio corpo urla di dolore, ma cerco di non prestarci attenzione. Mi rimetto in piedi, le articolazione che gemono. Sembro una vecchia decrepita. Scuoto la testa, cercando di dimenticare il paragone. Compio qualche passo, curiosa di vedere il disastro causato dall'esplosione. Resprimo la smorfia di fastidio quando il ronzio continua. Cerco di riprendere l'udito, ma questo non si decide ad arrivare. Senza di esso mi sento completamente allo scoperto. Mi guardo più volte intorno, cercando di riempire quel vuoto che mi provocano le orecchie al momento. Cerco di non essere presa alla sprovvista. Questo ronzio fastidioso mi irrita. Scalcio un pezzo del corpo del redcap. Alcuni pezzi della maschera fatta di ossa della fata si sono piantati nella corteccia dell'albero. Sfioro quei pezzettini bianchi sporchi di sangue e pelle. L'urlo dell'ultimo redcap mi fa riavere l'udito con un sonoro pop. Mi volto verso la fata. Il redcap continua ad urlare, un urlo lacerante e straziante. Batte i pugni a terra. Posa il suo sguardo carico di odio su di me e ringhia. << Il tuo amico ha avuto una brutta indigestione >>, commento togliendo uno dei pezzi della maschera del tronco. Gli butto il pezzettino d'osso in faccia, colpendolo alla fronte. La fata, in risposta, mi ringhia contro. Prova ad alzarsi e ad afferrare il suo martello, ma a quanto parte devo averle rotto la rotula o qualcosa del genere. Batte frustata i pugni a terra e urla. Mi avvicino al martello che mi era sfilato di mano. Sono totalmente calma, so che questa é una preda facile. Soppeso il martello nella mano sinistra e mi avvicino alla creatura. La fata volta la testa verso di me ed emette un lamenti stridulo, come un cane bastonato. Osservo quegli occhi privi di anima, pieni di rancore, rabbia e vendetta. Alzo il martello, la sua supplica aumenta. La ignoro e con assoluta calma, colpisco la fata alla testa con tutta la forza che ho. Lei cade a terra, il viso premuto sul terreno. Stringo entrambe le mani intorno all'impugnatura del martello. Una vocina interiore mi sussurra di continuare. Stoicamente, alzo il martello che si schianta sulla nuca della fata. Alcuni schizzi di sangue mi macchiano il viso. La vocina inizia ad urlare. Vuole più sangue. Colpisco la testa del redcap ancora e ancora. Colpisco la fata finché la mia faccia non diventa una replica più grottesca della sua maschera. Al suolo c'è solo una poltiglia di sangue, carne ed ossa. Alzo di nuovo il martello, ma una voce armoniosa mi fa uscire dalla mia trance. << Il rosso ti dona >>, sussurra la Dama Verde poggiata contro un albero. Il martello mi sfugge di mano. Mi ritrovo a stringere i pugni e ad osservare il casino che ho fatto. Osservo l'orrore che ho combinato. Ho ucciso tre fate nel modo più macabro che possa esistere. Io mi giustifico nel dire che le uccido per salvare vite. Le accuso di essere delle feroci assassine. Delle spietate calcolatrici a sangue freddo. Mi arrabbio quando mi accusano di essere un'assassina. Eppure, solo ora, mi accorgo quanto sono simile alle prede che uccido. Con tutto il tempo che ho passato a studiarle e ad ucciderle sono diventata come loro. Sono diventata una spietata assassina fredda e calcolatrice. << Suvvia, cacciatrice, non rimproverarti >>, aggiunge la voce cristallina della fata. Yvonne compie alcuni passi sull'erba sporca di sangue. Non presta la minima attenzione al fatto che sta camminando a piedi nudi su delle membra di fate. Alzo lo sguardo sul suo viso bellissimo. Sulle sue labbra compare un sorriso seducente. Penserò dopo al fatto di essere un'assassina fredda e calcolatrice. Nella mia mano destra, nascosta ai suoi occhi indiscreti, scivola l'impugnatura di uno dei miei coltelli a farfalla. Aspetto prima di aprirlo. La fata porta le sue dita sotto il mio mento e lo alza. Osservo i suoi occhi privi di ogni emozione. << Mi sei sempre piaciuta, cacciatrice. Sei molto più forte e sanguinaria delle tue antenate >>, commenta con tono sommesso. Osserva il mio viso senza alcuna emozione sul suo. Posa il pollice nella fossetta del mio mento. << Sei molto più forte di tua madre. Ho sentito le sue urla quando é morta, era così patetica >>, sussurra. Stringo le dita intorno all'impugnatura. Reprimo l'impulso di ucciderla seduta stante. << Vi osservavamo da giorni. Osservavamo te, ma tu non potevi vederci. Eri così ignara di tutto >>, aggiunge accarezzandomi il mento. << I tuoi genitori non volevano rivelati niente, non volevano rovinarti l'infanzia. Osservavo tuo padre che ti cantava la sua ninna nanna preferita. Cercava di dirti chi eri con quella ninna nanna, ma tu non potevi comprenderne le parole >>, sogghigna. Sbatto le palpebre, cercando di far sparire le lacrime. Faccio scivolare l'impugnatura del coltello, pronta a far scattare la lama. << Osservavi impaurita il buio della tua camera quando tuo padre ti lasciava. Il tuo papà era ignaro che c'ero io a farti la guardia al capezzale del letto. Stringevi le coperte tra le tue manine paffute e tremavi come una foglia >>, sorride mentre mi racconta quelle cose. Il sangue mi si gela nelle vene quando mi sposta una ciocca di capelli dal viso. Posa le mani a coppa sulle mie guance e avvicina il suo viso al mio. Porto le mani dietro la schiena e faccio scivolare di un millimetro il manico del pugnale. Osservo i suoi occhi scuri. Il suo viso viene deturpato da un leggero tic. So cosa sta per succedere. << Quasi mi dispiace che ti debbe uccidere >>, sussurra. Lei osserva il mio viso, come se fosse in cerca di paura, terrore o qualcosa del genere. Le sorrido e lei ricambia. Con un leggero scatto del polso, la lama del coltello a farfalla compare nella mia mano. << A me no, invece >>, sussurro. Senza darle il tempo di reagire la pugnalo all'addome. Lei emette un sibilo di dolore. Indietreggia di pochi passi, il viso deturpato da una smorfia di stupore. Abbassa lo sguardo sull'impugnatura che fuoriesce dal suo addome. << Tu, stupida ragazzina >>, sibila a denti stretti con una voce gutturale. Porta le mani sull'impugnatura e si strappa il coltello dalla ferita. La stoffa strappata del corpetto verde lascia intravedere un profondo taglio che va man mano a guarire. << Non hai ancora capito contro chi ti stai mettendo >>, aggiunge gettando a terra l'arma insanguinata. Il bellissimo viso della baobhan sìdh inizia a scomparire, al suo posto compare il viso di un cadavere. Osservo la pelle grigistra e piena di macchie di decomposizione. Gli zigomi diventano più affilati e le guance diventano scavate. Lei incurva le labbra in un sorriso grottesco. Con l'altra mano afferro subito l'altro coltello a farfalla. << Sì che lo so, invece. Voi siete solo delle assassine >>, dico facendo comparire con uno scatto la lama. La fata abbassa lo sguardo sul coltello e inizia a ridere. Una risata che mi fa accapponare la pelle. << Sì, certo. E tu cosa saresti, l'eroe del giorno? >>, mi chiede con un leggero acuto. Posa le mani sui fianchi e continua a ridere. Osservo le sue guance prendere un po' di colore. Che diamine sta succedendo? << Continua a raccontartela >>, aggiunge. Quando la sua risata si smorza, Yvonne si tocca l'angolo di un occhio con la punta dell'indice. Come se si stesse asciugando una lacrima. Scuote la testa e riporta tutta la sua attenzione su di me. << Sei morta, stupida Falconiera >>, sibila con un accenno di risata.
I minuti successivi li passo a scontrarmi con la baobhan sìdh. In questo momento sono davvero consapevole del mio corpo. Sono consapevole di come mi muovo, di come agisco. Sento i muscoli delle gambe che si contraggono e si rilassano. Sono consapevole delle ferite che bruciano e pizzicano, ma non ci presto attenzione. Yvonne continua ad insultarmi nella sua lingua antica e io continuo ad insultarla in inglese. La fata mi colpisce al braccio con il mio stesso coltello a farfalla. Il sangue inizia a fuoriuscire dalla ferita e a macchiarmi la manica del giubbino. Porto una mano sulla ferita, il liquido color cremisi inizia a macchiarmi la pelle. Yvonne sorride e mi rivolge una serie di parole in gaellico. << Che diamine stai dicendo? >>, le chiedo con un lieve accenno di affanno. Poso la schiena contro la corteccia di un albero. In lontananza, sento il rumore di un tuono. << Quando capirai di chi fidarti sarai morta, cacciatrice >>. Alzo il viso al cielo. Delle nuvole scure hanno ormai coperto la luna. Anche quei pochi raggi che illuminavano la radura sono scomparsi. Siamo circondate dal buio. Cerco di adattare immediatamente gli occhi alle tenebre. << Sarà >>, sussurro. Osservo la figura di Yvonne che si muove scaltra. Mi abbasso quando lei tenta di colpirmi alla gola. Lasciando andare il braccio, prendo uno dei coltelli da lancio che avevo infilato negli stivali. Senza pensarci troppo, sfioro con il filo della lama la caviglia scoperta. Appena la lama le recide il tendine, la fata cade al suolo. Yvonne perde la presa sul coltello e mi osserva impotente dal basso. Batto l'indice sull'impugnatura e mi accovaccio al suo fianco. Lei volta la testa verso di me. << La prossima volta ti consiglio di indossare delle scarpe >>, sussurro. << Non sai cosa stai combinando, cacciatrice >>, sibila. Mi rigiro l'arma tra le mani. Devo ucciderla prima che il tendine si rigeneri. Yvonne non deve avere la possibilità di alzarsi. << Sì, invece. Sto per ucciderti >>, sussurro sporgendomi verso lei. Un altro tuono, ma stavolta più vicino, interrompe la quiete. << Quindi, pronuncia le ultime parole >>. Batto con la punta del coltello sul suo collo. Pianto un piede sul suo addome, impedendole di alzarsi. L'altro piede, invece, é posato sul suo polso evitando che mi colpisca alle spalle. La mano destra tiene l'altro braccio premuto contro il terreno. Avvicino il viso al suo. La punta del coltello premuta contro la sua gola. << Impara a fidarti delle persone giuste. Se l'avessi fatto prima tutto questo non sarebbe successo >>, sibila. Fingo il totale disinteresse, eppure, dentro di me voglio sapere cosa intende. Voglio sapere di chi devo fidarmi. << Solo questo? >>, le chiedo. Lei emette una piccola risata. Non prova nemmeno a togliermi di dosso. << Va all'inferno >>, sibila alzando il viso verso il mio. Compiendo questa azione, la punta del coltello le si ficca nella gola. La lama la trapassa da parte a parte. Chiudo gli occhi e sfilo la lama. La sua testa cade al suolo con un tonfo sordo. Mi alzo dal suo corpo. Aspetto che la fata emetta il suo ultimo respiro. Aspetto che il suo potere mi scivoli a ondate dentro riempiendo il sacco vuoto che sono diventata. Assaporo il gusto ferroso del suo potere. Un lampo illumina la scena. Illumina il corpo senza vita di Yvonne. In quel breve lampo di luce, osservo il suo corpo che inizia a decomporsi. Credo che ora non ritornerà più. Metto via il coltello da lancio e recupero i due coltelli a farfalla. Più tardi ne pulirò le lame. Supero il posto in cui ho ucciso i due redcap. Il corpo di quello più grande é quasi svanito. Tendo le orecchie per captare qualche gemito o urlo, qualcosa che mi faccia capire che c'è uno scontro. Invece, tutto quello che sento é soltanto silenzio. Mi appresto a raggiungere Alec. Mi guardo continuamente intorno, sperando che la Glastig non compaia stasera. Chissà dov'è finita. Chissà ora cosa starà combinando. Sto per lasciarmi tutto alle spalle quando una voce mi fa voltare. Una voce che conosco bene. Una voce che credevo non avrei mai più sentito. Quella stessa voce che mi fa gelare il sangue nelle vene. Quella voce che appartiene al ragazzo che popola i miei incubi. << Ciao, sorellina >>.