DICIOTTO

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INQUIETUDINE

Adesso sono fermamente convinta che stia impazzendo

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Adesso sono fermamente convinta che stia impazzendo. Sono completamente uscita fuori di testa. I miei occhi e il mio cervello mi creano brutti scherzi. Sento, di nuovo, il mio corpo distaccato dalla realtà. Mi sento come se non fossi io a vivere questa situazione. Come se stessi fluttuando nell'aria a metri e metri di distanza dal terreno. Temo che, prima o poi, mi ci possa scontrare contro.

Scendo lentamente le scale dell'imponente scalinata in marmo. Ho la sensazione che potrei vomitare da un momento all'altro. Mi gira la testa e rimanere in piedi é diventato difficile. Mi sistemo, per l'ennesima volta, il cappello in testa. Non faccio altro che pensare agli ultimi minuti.

Ho appena visto la direttrice dell' Istituto con la faccia di un mostro e dopo poco puff  era di nuovo perfettamente normale. Il solito viso ovale era ritornato severo e tirato. La stanza si era velocemente riempita dell'odore amaro del caffè, e non dell'odore ferroso del sangue. Ma, dopotutto, lo sgradevole gusto ferroso non si decideva a scemare. Nemmeno Derrick si decideva a smettere di squittire. E, più tutto questo di intrecciava e s'intensificava e più quel brutto presentimento aumentava. Per tutto il tempo che sono rimasta lì dentro non sono riuscita a prestare attenzione nemmeno ad una frase. Tutti ormai credono che sia io la colpevole, ormai mi sembra inutile sprecare altre parole per affermare il contrario. Sono rimasta lì a subire colpi dopo colpi. Riuscivo solo a fissare, inebetita, la direttrice. Il suo marcato accento francese mi scivolava di dosso trasportando con sé tutto ciò che diceva. Poi, ad una singola e unica frase, mi sono risvegliata. Sono uscita dalla mia trance.
<< Dovrò allontanarti per un po' >>, aveva mormorato prendendo un sorso dalla tazza. Io mi ero limitata a guardarla e ad aggrottare le sopracciglia. << Dovrò rispediti a casa per cinque giorni >>, aveva aggiunto vedendo che continuavo a non spicciare parola.

In quel momento la mia testa sia era distaccata da tutto quello che mi stava succedendo intorno. Avevo iniziato a pensare a Monica, a Marco, perfino a Michael. Avevo iniziato a pensare alla loro casa a pochi minuti di distanza da quell'orrendo edificio. Avevo pensato alla mia stanza perennemente incasinata.

<< A quanto sembra non sei felice di passare il Giorno del Ringraziamento in famiglia >>
A quelle parole mi ero limitata a spostare lo sguardo fuori. Ho iniziato ad osservare la nebbia che iniziava ad addensarsi nel cortile. Quella soffice distesa biancastra che ricopriva tutto. Non ho potuto far a meno di chiedermi cosa stesse succedendo a casa in quel preciso momento.
<< Vedo che sei una ragazza taciturna >>, aveva commentato mettendo giù la tazza. La ceramica nera dell'oggetto atterrò sul posa bicchieri con un leggero tonfo. << Taciturna o meno, ragazzina, ti consiglio di non fare nessun passo falso quando sarai fuori di qui o ci saranno parecchi guai per te. Sono stata chiara? >>
Avevo annuito. Derrick che frignava sulla mia spalla. Il pixie stringeva tra le mani paffute alcune ciocche dei mie capelli mentre si nascondeva dietro il mio collo.
<< Ti consiglio di iniziare a fare i bagagli, tra tre giorni sarai fuori di qui. Riceveranno una mia lettera che li informerà del tuo temporaneo allontanamento, ma ti consiglio di chiamarli >>
In quel momento mi sono resa conto che non li avevo mai chiamati da quando sono qui. Cosa gli dovrò dire?
Immagino già la conversazione : << Ciao Monica, come state? Io benissimo, solo che vogliono che ritorni a casa per alcuni giorni. No, niente di che, solo che sono accusata per l'ennesima volta di omicidio. Okay, ci vediamo tra tre giorni. >>
Un vero fiasco...

La direttrice aveva preso un altro sorso di caffè. Mi guardava incuriosita. Forse si chiedeva come mai non saltassi dalla gioia di ritornare a casa. In quel momento non sapevo cosa dire, mi girava la testa e la stanza sembrava ondeggia davanti ai miei occhi. Sto vivendo un incubo. Un incubo interminabile.
<< Williams, puoi andare >>
Quando ha scandito quelle poche parole, mi sono alzata e diretta verso la porta. Senza spicciare una parola, mi sono chiusa l'ufficio della direttrice alle spalle.

E ora, scendendo l'imponente scalinata in marmo dell'atrio, mi rendo conto che sono in ritardo per la prima ora. Appena i miei piedi toccano il pavimento dell'ingresso sono tentata di ritornare nella mia stanza, di iniziare a fare i bagagli. Non voglio beccarmi un altro giorno di punizione. Sposto Derrick sulla mia spalla e lui tira su col naso. Neanche lui ha voglia di parlare. Ci dirigiamo in silenzio verso il portone, sperando che nessuno mi noti. Appena la mia mano trova la maniglia del pesante portone in legno, questo si apre e un leggero alito di vento mi colpisce il viso. Mi stringo nel parka mentre, una figura alta e slanciata si chiude il portone alle spalle.

Alzo lo sguardo e incontro gli occhi grigi del ragazzo. Osservo quelle poche sfumature verdi che li attraversano. Il mio cuore fa una capriola. Lui contrae la mascella e fa un passo in avanti, scartandomi.
Chiudo gli occhi e porto una mano sul portone. Ascolto i suoi passi che si allontanano e penso a tutto quello che é successo ultimamente. Se voglio che si risolva qualcosa devo fare io il primo passo.
Mi volto e punto lo sguardo sulla sua schiena.
<< Alec! >>, urlo. La mia voce che si disperde nell'atrio. Lui si ferma, ma non si volta verso di me. Stringendo i pugni, avanzo verso di lui.
<< Dobbiamo parlare >>, aggiungo ad un passo da lui.
<< Abbiamo smesso di parlare tre settimane fa >>, dice con la voce bassa e roca. << Non ho niente da dirti >>, aggiunge. Si sporge in avanti e fa un passo. Prima che si possa allontanare, poso una mano sul suo braccio. Lui abbassa lo sguardo. Osserva la mia mano sulla sua felpa.
<< Per favore >>
Posa la sua mano calda sulla mia gelata e il suo potere inizia a scorrere nelle vene. Petali di fiori iniziano a rotolare sulla mia lingua. Stacca la mia mano dalla sua felpa e si volta.
<< Cosa devi dirmi, che non ti fidi di me? Che non ti fidi di un sídhe? Oppure, il tuo pixie vuole prendermi per l'ennesima volta in giro? Se é così, Clarissa, non infastidirti a parlarmi >>
Mi lancia un'occhiata di traverso e si volta ricominciando a camminare verso la biblioteca.
Non posso arrendermi. Lancio uno sguardo a Derrick. Il pixie fissa il pavimento. Non ha detto una parola nemmeno quando Alec gli é stato davanti. Cosa avrà visto in quell'ufficio? Deve aver avvertito le mie stesse emozioni? Prometto che più tardi parlerò anche con lui.
Però adesso devo risolvere con Alec.

<< Stewart! >>, urlo ricominciando a camminargli dietro. << Alec! >>, urlo quando lui é ad un passo dall'entrata. Non mi presta attenzione. Mi sta completamente ignorando. Mi fermo e lancio un'occhiata ai quadri. Incrocio lo sguardo della direttrice. Ho bisogno di risposte. Chiudo gli occhi e urlo un unico nome: << Alexander >>

Come mi aspettavo i suoi passi smettono di colpire il pavimento.
Quando porto lo sguardo sulla sua figura sospiro. Lui apre e chiude le mani a pugno. Forse qualcosa é scattato nel suo cervello. Se c'è qualcosa che ho imparato su questa fata é che odia il suo passato.
<< Mi serve il tuo aiuto, qualcuno sta cercando di uccidermi >>, sussurro ricominciando a camminare. I miei anfibi colpiscono le piastrelle lucide del pavimento con sonori ticchettii.
<< Sai che novità >>, sbotta. Porta una mano sulla porta in legno della biblioteca. Quando la spinge le enormi librerie piene di libri compaiono nella mia visuale.
<< Non capisci, questa volta é qualcuno di umano >>, aggiungo. La voce ridotta ad un sussurro, ma nonostante ciò lui mi sente comunque.
Si volta verso di me e mi osserva con la fronte aggrottata.

THE FALCONER 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora