{ sεcοnδα sτοrια }
Cuore di pietra.
Volontà di ferro.
Lei é l'ultima Falconiera .
La piccola e giovane Clarissa ha vissuto di tutto. Ha visto cose orribili in ogni angolo. Cose che nessun essere umano dovrebbe vedere. É sopravvissuta ad ogni sera...
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Una parte di me credeva che era tutto un sogno. Un terribile incubo ad occhi aperti. Sentivo tutto il corpo dolermi, la testa in fiamme e mi sentivo freddissima. Quasi congelata. Credevo che la mia vita fosse finita tanto tempo prima, che tutto quello vissuto successivamente fosse soltanto un incubo. Che la mia sopravvivenza fosse soltanto frutto della mia immaginazione. Credevo che la mia vita fosse finita in quella casa in fiamme. Immaginavo già la mia testa che veniva mangiata dalle fiamme. Immaginavo già il mio corpo immobile in mezzo a quel mare infernale... Stupida, stupida ragazza! Questa é la pura e schifossisima realtà. Sono viva, almeno credo, e la cosa non mi spiace. La testa é davvero in fiamme, ma solo per la botta presa. Il mio corpo mi fa davvero male, ma solo per lo sforzo immane. E, il freddo non é il gelo della morte, bensì la fredda aria serale. L'unica cosa che non riesco a spiegarmi é la figura di mio fratello che é uscita dalle tenebre. Com'è possibile che lui sia qui? Jason é morto quando aveva quattordici anni.
Apro gli occhi e una smorfia di dolore mi si dipinge sul viso. Porto una mano alla testa : i polpastrelli si tingono di rosso. Ennesima botta alla testa. Sbuffo, ma facendo ciò un dolore acuto prende ad espandersi dal petto. Un sibilo di dolore mi sfugge dalle labbra. Cerco di alzarmi a sedere, il dolore aumenta. Credo proprio che quel maledetto cane mi abbia rotto qualche costola. Poso la schiena contro il muro e mi cingo il petto con un braccio. Mi sento completamente intontita. La stanchezza mi annebbia i pensieri, la vista si sta annebbiando velocemente. Sbatto le palpebre, cercando di rendere la mia visuale più nitida. Cerco tra le tenebre del giardino qualche figura umana, ma l'unica figura che colgo é quella di un enorme cane. La fata mi annusa la gamba e ringhia. La saliva inizia a sgocciolare sui jeans. Senza staccare lo sguardo dalla fata, stacco uno dei miei coltelli a farfalla che porto legati in vita. Li apro con un movimento del polso. Il cù sìth non si é ancora accorto di niente. Poso una mano sul muro e, trattenendo un grido di dolore, mi alzo da terra. Mi schiaccio al muro. Il cane inizia a ringhiare. I suoi occhi rossi mi osservano pieni di odio. << Che volete da me?! >>, gli urlo. La mano premuta contro il petto. Il cane avanza verso di me. Un rumore proviene alle mie spalle : qualcuno sta uscendo dai cespugli che delimitano il confine con il vicino. Mi volto, sperando che colui che sta uscendo allo scoperto sia mio fratello. La mia speranza va in frantumi appena un cane mette piede nel giardino. Un cane più grosso e dalla folta pelliccia color pece. Avanza verso di me con passo lento e misurato. Sembra una pantera assetata di sangue. Stringo l'impugnatura del coltello nel palmo della mano. Sposto lo sguardo da una fata all'altra. Una parte di me crede che questa sia la mia ultima sera. << Avete rotto! >>, urlo. Il potere delle fate prende completo possesso della mia bocca. Un sapore ferroso danza sulle mie papille gustative. Sento l'esofago che si contorce in preda ai conati. Il sapore ferroso aumenta. Un liquido denso inizia a bagnarmi il mento e le labbra. Mi tocco il labbro : sangue. Lancio uno sguardo all'ultimo arrivato. Rigiro il coltello nel palmo della mano. Devo sopravvivere. Ho sopportato tanto, non posso morire adesso. Ignorando il dolore al petto, mi pulisco il labbro inferiore dal sangue. Sfilo anche l'altro coltello dalla cinta. << Mi avete stancata! >>, urlo contro il cane più grosso. Sputo a terra un grumo di sangue. << Avanti, attacca! >> L'esemplare più grosso mi salta addosso. Mi proteggo il viso con le braccia, le lame dei coltelli verso l'esterno. Quando scopro il viso punto lo sguardo dritto verso l'esemplare più grosso. La fata atterra con estrema eleganza sul prato, come se non pesasse una tonnellata. Con delle semplici rotazioni dei polsi, ruoto i coltelli nei palmi delle mani. Affondo le suole degli stivali nel terreno fangoso e piego le ginocchia. Sposto lo sguardo da una fata all'altra, un sorriso freddo mi nasce sulle labbra. Ignoro il pulsare delle ferite al petto. Ignoro i mille puntini che mi appannano la vista. Ignoro il terribile mal di testa che mi annebbia i pensieri. Sono pronta. Posso ucciderle.