VENERDÌ 13 NOVEMBRE 2015
Il giorno dopo del mio chiarimento con Vitto avevo faticato a tirare su la testa dal cuscino al suono della sveglia. Si era fermato a cena dopo la pace fatta e a insaputa di mamma e papà era rimasto a chiacchierare nel letto con me per qualche ora mentre loro si erano probabilmente addormentati davanti alla tv in salotto. Lui ha lezione dopo pranzo il lunedì, a differenza mia che invece mi ero trascinata giù dal letto, per poi strisciare fino alla scaletta. Il primo giorno della settimana non è un buon giorno per molti motivi, tra i quali c'è anche il fatto che entrando alle nove, dopo l'ora di religione, non ho modo di gustarmi il mio mezzo minuto quotidiano in compagnia di Damiano, davanti ai cancelli di scuola. Momento che invece avevo aspettato con ansia e desiderio il giorno dopo. Dopo il caffè amaro e una doccia fredda mi ero infilata i primi vestiti trovati, quelli piegati sul divanetto della mia camera dal giorno prima, guardandomi alla fine allo specchio solo una volta in ascensore e rendendomi conto della coda che avevo fatto malamente prima di entrare in doccia. Durante il tragitto in pullman l'avevo disfatta con cura e avevo intrecciato i capelli su una spalla, pensando a Damiano che finalmente avrei rivisto. Invece treccia, doccia e caffè non erano serviti a niente perché l'ingresso di scuola era deserto, come lo è stato anche i giorni successivi. La settimana scolastica è praticamente giunta alla fine e di lui non ne ho visto ancora l'ombra. A Roma negli ultimi giorni ha cominciato a fare più freddo, la mia giacchetta di jeans non è più abbastanza calda per difendermi dall'arietta gelida del mattino, così un sottile piumino bordeaux ha preso il suo posto, insieme alla prima sciarpa di lana della stagione. Anche le mie solite Superga di tela sono state rimpiazzate e il camoscio nero delle Puma invernali che oggi porto ai piedi è l'ultima cosa che vedo prima di alzare lo sguardo sulla struttura estesa del Montale, girando l'angolo in via di Bravetta. L'ingresso deserto di scuola e quei mattoncini vuoti e umidi senza nessuna schiena ad appoggiarvisi non era però ciò che speravo di vedere. Per qualche motivo che non riesco a spiegare neanche a me stessa reputo questa sua assenza come un'offesa nei miei confronti: io ho passato giorni a non pensare ad altri che a lui e alle parole che mi ha rivolto sotto casa l'altra notte, a desiderare di rivederlo il più presto possibile, con la sua giacca verde, le auricolari a penzoloni fuori dal collo del suo maglione melangiato e la Camel tra le dita infreddolite ad aspettarmi davanti a scuola, per scambiare quel misero saluto e godere del mezzo minuto in sua compagnia, mentre lui al mio contrario si azzarda a non presentarsi, facendo andare in fumo tutti i miei film mentali riguardo al piccolo sorriso sghembo che mi avrebbe rivolto vedendomi arrivare, allo sbuffo di fumo che avrebbe abbandonato le sue labbra nel salutarmi e al modo in cui si sarebbe spostato i capelli indietro prima di piroettare verso l'ingresso della scuola al mio fianco.
Niente di tutto ciò ha avuto modo di accadere e anche oggi mi ritrovo accucciata sul mio primo banco a scarabocchiare su un quaderno a quadretti sotto il ritmo incalzante della voce del prof, mentre la mia mente è immersa in tutt'altri pensieri ben lontani dall'argomento della lezione di storia. Sono talmente persa nei miei pensieri che quando la campanella dell'intervallo trilla per i corridoi a malapena me ne accorgo, mi desto dai miei pensieri solo quando il prof di Storia si decide finalmente a lasciarci liberi e più della metà dei miei compagni di classe si riversa fuori dall'aula. Li guardo spintonarsi per uscire, indecisa se alzarmi anch'io o meno dalla sedia che mi aveva tenuta intrappolata per le due ore passate. Forse alzarmi un po' mi farà uscire da questo stato di trance e inutile attesa in cui mi trovo.
Negli ultimi giorni non mi sono mai fatta viva in cortile, neanche per stare un po' in compagnia di Margot che passa lì quasi tutti gli intervalli, non so dire cosa mi spaventasse, forse semplicemente il mio solito disagio che questa volta ha avuto la meglio, senza Marco che mi trascinava con sé, o Damiano a motivare i miei sforzi. Anche oggi evito la sfida e mi dirigo ciondolante al bar, per comprare una bottiglia d'acqua che mi servirà in piscina più tardi; all'interno la massa di persone riempie il locale da muro a muro, ma oggi il distributore automatico all'entrata è rotto, così anche se rischio il soffocamento, sono obbligata a perseverare. È proprio quando ormai sono a metà fila, schiacciata nella calca degli studenti affamati, che la vista di una persona qualche tavolino più in là mi fa mandare a quel paese la mia impresa e sgusciare fuori in fretta da quella calca.
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Damiano | Limerenza e Dissimulazione
FanfictionÈ come se con quello sguardo riuscisse a dirmi che ha notato i miei capelli sciolti e il trucco sul mio viso, e nel silenzio del suo osservare si stesse complimentando. Come era già successo altre volte con lui, il tempo si espande, dandomi motivo d...