31. Mamme cupido

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DOMENICA 24 GENNAIO 2016

"È solo una sbucciatura!" ripeto convulsivamente al mio allenatore che è quasi senza fiato, cercando malamente di mantenere la calma. Arrampicata è sempre stato l'unico sport, tra quelli che pratico, che riusciva a farmi staccare il cervello e portarmi da un'altra parte, ancora meglio quando si svolgeva all'aperto, invece che in palestra, tra il rimbombo delle voci dei coach. Oggi però neanche questo riesce a distrarmi granché, anzi, sono i miei pensieri a togliermi la concentrazione da quello che sto facendo, e mi fanno scivolare dagli appigli, facendo prendere un coccolone all'allenatore che mi stava seguendo e facendomi guadagnare una sbucciatura sul ginocchio che comunque ci metterà un bel po' ad andare via. La verità è che sono fuori di me, non c'è nulla che sembra andare nel verso giusto e io continuo a domandarmi perché i disastri non si limitino ad accadere uno per volta, ma si raggruppino tutti in uno stesso periodo come se per me fosse divertente sentirmi abbandonata da tutti quelli a cui voglio bene nello stesso momento. Dopo il mio pseudo litigio con Damiano, che già da solo mi bastava per incenerire la mia voglia di vivere, anche il mio rapporto con il mio migliore amico, che già prima della gita aveva preso una piega strana, ha deciso praticamente di disintegrarsi. Avendo ricevuto praticamente una delusione dopo l'altra non potevo non aver pensato immediatamente a Vitto, che tra i suoi mille difetti aveva sempre avuto la capacità di essere pronto ad aiutarmi in caso di bisogno: lui è quel tipo di amico che ti ricorda che il gelato al limone non ti piace, quando sei così fuori di te che nemmeno ti ricordi quale sia il tuo gusto preferito. A Vitto affiderei la ricostruzione del mio puzzle nel caso andassi in mille pezzi, perché sarebbe l'unico in grado di rimettermi insieme, ed è forse per questo che durante il viaggio di ritorno a Roma, dopo che la notte passata con Damiano mi aveva scombinata al punto di non sapere più quale fosse il mio gusto di gelato preferito, me l'ero immaginato, Vitto, fluttuava davanti ai miei occhi come una stella luminosa, avevo realizzato che era la parte più importante della sequenza di immagini che mi aiutava a ricostruire me stessa, al mattino. Sapevo che anche avessimo finito di litigare cinque minuti prima, lui si sarebbe comunque presentato davanti alla mia porta con una vasca di gelato e il tabacco nella tasca dei pantaloni, se gli avessi detto che avevo bisogno del mio migliore amico. Così in effetti era stato: quando domenica scorsa l'avevo chiamato per parlare era arrivato in un istante, ripetendo a sproposito che quella settimana senza vedersi o sentirsi era stata tremenda, avevamo chiacchierato un po', celando con determinazione l'imbarazzo dovuto non tanto al bacio che mi aveva stampato al Lennon, quanto piuttosto al senso di colpa che mi generava proprio lo stesso rifiuto ad affrontare di petto quell'argomento. Mentre disegnava ghirigori sulla porzione di pelle tra le mie braccia e le mie spalle, che aveva scoperto maliziosamente poco prima, mi ero ricordata della ciucca di Viviana e delle sue strane allusioni, che la mia testa scombinata per un po' aveva rimosso. Nena aveva dedotto che forse si erano frequentati e io ripensando alle sue parole frettolose avevo sbuffato allegramente, pensando che l'amicizia con Vitto era una fortuna che probabilmente in tanti sognavano di avere e che una volta tanto era capitata a me. Avevo pensato che anche se andava tutto male potevo alzare il dito medio al destino, perché con Vitto era come avere un materasso che mi salvava da tutte le cadute.

"Che te ridi?" aveva domandato lui, tirandomi un buffetto sul braccio, prendendomi in giro perché ridevo da sola.

"Niente, pensavo che Viviana ha sbrattato in gita, e me la sono dovuta accollare perché le sue amichette avevano altro a cui pensare... così ha blaterato cose a vanvera su di te, penso che anni fa avesse una cotta"

"Ma dai? Seriamente?" avevo annuito osservandolo sorridere non del tutto sorpreso.

"Sono passati anni, assurdo. Per un bacetto poi..."

Lì per lì non avevo realizzato; solitamente odio la mia insicurezza però in questo momento preferirei persino quell'odiosa incertezza alle mie poche convinzioni, che puntualmente riescono a rendermi talmente cieca da farmi ridere di me stessa, per la mia stupidità. Vittorio aveva parlato con totale sincerità, mentre mi diceva che lui e Viviana si erano baciati una o due volte – conoscendolo era stato lui il primo a fare la splendida mossa – e supponendo che probabilmente lei l'aveva presa più sul serio di quello che avrebbe dovuto. Per prima cosa avevo riso, pensando che stesse scherzando, e lui con me senza capirne il motivo, ma poi quando mi era stato chiaro che era serissimo ero sbiancata, sconvolta dal fatto che non solo lui non mi avesse mai detto di aver baciato quella che allora era la mia migliore amica, ma anche che non gli fosse mai passato per l'anticamera del cervello che il triangolo che si era creato, di cui io ero totalmente all'oscuro, poteva essere un plausibile motivo della fine della nostra amicizia. Gli avevo urlato contro, come avrei dovuto fare anche con Damiano qualche tempo prima, per poi sbatterlo fuori casa e tentare di affogare la testa nel cuscino. Esattamente come vorrei fare adesso, che mi sono cambiata dopo la mezz'ora scarsa di arrampicata, ho fasciato il ginocchio per non sporcare i pantaloni di sangue, ho buttato distrattamente una sciarpa attorno al collo e sono uscita fuori per tornare a casa in pullman zoppicante, maledicendo chi mi stava chiamando al telefono proprio adesso che il freddo mi avrebbe fatto congelare le dita. Il nome che leggo sul display rappresenta un'altra delle persone che ho sempre amato follemente, che conosco da una vita e che ultimamente, per via di Damiano, non ho nessuna voglia di vedere.

Damiano | Limerenza e DissimulazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora