14. Quando piove

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DOMENICA 8 NOVEMBRE 2015

È una domenica di pioggia insistente quella in cui Vitto decide di presentarsi a casa mia, per stare un po' insieme, dopo che dalla sera in cui avevo conosciuto Sara, tra di noi erano intercorsi solo qualche 'ciao' e un misero 'come va?' sulla porta di casa. Sono concentrata sul suono uniforme e ripetitivo delle gocce di pioggia sul tettuccio della mia camera a mansarda, quella che in casa chiamiamo un po' fiabescamente la "mia torre", quando sento mio papà chiamarmi dal piano inferiore e dirmi che ho visite. Solo Vitto poteva presentarsi nel bel mezzo di una piovosa domenica pomeriggio in casa mia, e nonostante le incomprensioni, un po' gioisco nel vederlo, fermo sullo stipite della porta. A parte per la piega all'insù che assumono le mie labbra però resto abbastanza imbarazzata, fatico persino a incrociare il suo sguardo, oltre la montatura rettangolare dei suoi occhiali e finisco così per guardarmi intorno circospetta; la mia camera ha un assetto inconsueto: superato lo stipite ci si trova davanti solo un divano, una scrivania attorniata da scaffali pieni di libri, ordinati per altezza, e un armadio, ma nessun letto, il quale invece si trova sulla "torre", in cima ad una scaletta dai gradini stretti e ripidi che si estrae tirando giù un gancio dall'apertura sul soffitto. La parte superiore della mia stanza è praticamente il mio rifugio dall'età di sette anni, quando da soffitta è stata trasformata in uno spazio vivibile; pochi ci hanno messo piede durante tutta la sua esistenza, risalendo la scaletta e infilandosi nella stretta apertura sul soffitto con tanto di porticina scorrevole, anzi quasi nessuno, ma tra questi pochi fortunati non poteva non esserci Vitto. Quando veniva a casa mia, oltre che abbuffarsi di arachidi e noccioline rubate dal cesto sul tavolo della cucina, si appropriava anche del mio letto situato in cima alla torretta e insieme rimanevamo a parlare per ore, bevendo estathè alla pesca, ascoltando musica, discutendo di qualunque cosa, il più delle volte animatamente, tanto che ci sentivano fin da sotto, perché siamo quasi sempre in disaccordo su tutto. Ma oggi non mi va di comportarci come sempre, per cui raggomitolata nei miei pantaloni della tuta e nel felpone-pecorella mi lancio sul divanetto e aspetto che titubante lo faccia anche lui.

"Come stai?" esordisce un po' a disagio. Non mi ha mai chiesto così tante volte come stessi come invece ha fatto in questo ultimo periodo in cui il nostro rapporto si è irrigidito, e questo fatto senza dubbio è significativo: le persone si chiedono 'come va' quando non sanno che altro dirti.

"Perché non c'eri ieri sera al Lennon?"

Sembra preoccupato, come se pensasse di essere stato lui la causa della mia assenza, invece la sua domanda mi fa immediatamente tornare a ieri notte, agli sguardi di Damiano, ai suoi sorrisi sghembi, allo schioccare della lingua in mezzo al suo continuo ruminare, alle sue dita fredde sulla mia schiena bollente e soprattutto a quello che ci siamo detti poco prima di non salutarci davanti alla porta di casa mia.

Non pensavo che ieri notte sarei tornata a casa nuovamente avvinghiata al busto sottile di Damiano, mentre lui faceva ruggire il suo motorino sulle strade notturne e taciturne di Roma. Ci avevo sperato, questo non si può negare, ma razionalmente non pensavo che essendo vincolata dal tornare entro l'una finissi per farmi accompagnare da lui, che nelle mie previsioni è il tipo di ragazzo da restare a ballare fino alle cinque di mattina. Invece mi sbagliavo, magari non riguardo i suoi orari, ma sull'assetto della serata sì. Avevo ipotizzato che Margot sarebbe tornata con me, a giudicare da come mi era stata incollata dopo il mio ballo con Damiano, quasi protettivamente; al contrario la mia amica si era poi organizzata per tornare con Riccardo e io di certo non avrei mai osato rovinarle i piani. A quel punto, pensando di dover trovare il modo di tornare da sola, avevo pensato di chiamare mia madre, almeno queste erano state le mie intenzioni finché Damiano non era intervenuto, proponendosi, o meglio imponendosi.

"Torni con me, ti porto in scooter" aveva dichiarato provocandomi un sussulto mentre mi chiedevo che cosa lo avesse spinto a pronunciare quelle parole che per poco non suonavano come una minaccia. Nel giro di due giorni mi aveva stupito fin troppe volte; che fosse interessato a me non l'ho mai preso in considerazione, né mai lo farò, però c'è da dire che se il gesto di offrirmi la colazione poteva essere visto come un semplice ringraziamento per lo studio, l'invito alla festa era difficile scambiarlo per pura galanteria, come anche il fatto che di punto in bianco decidesse di andare via dalla stessa festa solo perché lo facevo io. In più c'era il modo in cui avevamo ballato, che mi faceva girare lo stomaco, però quando siamo usciti dal locale, avviandoci da soli verso il suo scooter, era come se ai suoi occhi la Yoanna che aveva avvicinato a sé poco prima non fosse più parte di me. Ero arrivata a pensare persino – e a tratti lo credo ancora – che nell'oscurità del locale mi avesse confusa per qualcun'altra. D'altra parte però la consapevolezza che vedermi meno vestita non gli aveva fatto cancellare tutto quel poco che sapeva su di me per rimpiazzarmi con l'immagine di una ragazza con un bel fisico, come aveva fatto Marco, mi tranquillizzava – e rattristava.

Damiano | Limerenza e DissimulazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora